Commento all’art. 4 l.r. n. 14/2019: A. I crediti edilizi: disciplina generale – B. La disciplina dei crediti edilizi da rinaturalizzazione – C. La valorizzazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
La valorizzazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
di Antonella Faggiani
Sommario: 1. Dai crediti edilizi ai crediti da rinaturalizzazione – 2. I manufatti incongrui e il ruolo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione – 3. Una nuova prospettiva dell’interesse pubblico: la demolizione – 4. Il ruolo dei Comuni nella progettazione della rinaturalizzazione: la variante e l’avviso – 5. Un nuovo paradigma per la quantificazione dei crediti – 6. Gli impieghi dei crediti da rinaturalizzazione
1. Dai crediti edilizi ai crediti da rinaturalizzazione
I crediti edilizi rappresentano, dal 2004, un istituto innovativo per promuovere e incentivare la cooperazione tra l’operatore privato e il soggetto pubblico nella promozione di interventi di riqualificazione edilizia, ambientale e urbana in tutto il territorio, dalla scala minuta, edilizia, fino alla scala territoriale. Esso trova la propria definizione e l’indicazione degli obiettivi, delle politiche e delle azioni di riqualificazione edilizia, urbana ed ambientale che ne determinano il riconoscimento nell’art.36 della l.r. n. 11/2004 il quale definisce i quattro ambiti di applicazione che vanno dalla demolizione di opere incongrue e l’eliminazione di elementi di degrado, all’attuazione di interventi finalizzati al miglioramento della qualità edilizia, architettonica, urbana fino al riordino della zona agricola oltre alle compensazioni di cui all’art. 37 che permettono ai proprietari di aree ed edifici oggetto di vincolo preordinato all’esproprio di recuperare adeguata capacità edificatoria a fronte della loro cessione al demanio comunale.
Nella prospettiva dell’amministrazione, l’innovazione è stata significativa poiché, da quel momento, attraverso i crediti edilizi si sono introdotte regole più flessibili per l’attuazione dei progetti pubblici e privati di riqualificazione del territorio e si è aperta l’opportunità di acquisizione degli immobili necessari alle dotazioni territoriali anche attraverso il riconoscimento alla proprietà di diritti edificatori compensativi in alternativa al più tradizionale, nonché conflittuale ed economicamente oneroso, esproprio. Anche nella prospettiva della proprietà l’innovazione è apparsa interessante poiché, l’introduzione dei crediti edilizi, oltre all’istituto della perequazione urbanistica, ha allargato le opportunità del partenariato tra pubblico e privato per la riqualificazione del territorio attraverso strumenti in grado di rendere più coerente la gestione e l’attuazione dei contenuti pubblici e privati del piano rispetto alle attese, in termini temporali ed economici, dei privati.
Il contesto economico e culturale in cui si collocava l’introduzione del credito edilizio nel 2004 ne spiega i tratti distintivi poiché esso diviene il dispositivo impiegato dalle Amministrazioni comunali sia in processi di pianificazione ampi e generali che nell’ambito di interventi puntuali per attuare progetti caratterizzati da un elemento comune: la traslazione di carichi urbanistici esistenti o di progetto.
Anche scontando una inevitabile semplificazione, la tematizzazione dei modelli d’uso e gli ambiti di utilizzo dei crediti edilizi nella pianificazione veneta conduce ad una tematizzazione che ne definisce i tratti essenziali. Una prima categoria rimanda all’acquisizione da parte del Comune di aree o immobili funzionali alla realizzazione di opere pubbliche o di aree destinate alle dotazioni territoriali. Un secondo ambito di impiego riguarda operazioni di “conservazione” della volumetria riconosciuta dal Piano sia attraverso il mantenimento di una volumetria residua a seguito di interventi mirati alla riduzione del carico urbanistico in aree edificabili di proprietà privata, sia prevedendo il riconoscimento sotto forma di crediti edilizi dell’intera capacità edificatoria riconosciuta dal Piano, ma non più utilizzabile nel sedime di proprietà. La terza categoria vede il riconoscimento di crediti edilizi a fronte di operazioni di riqualificazione di ambiti degradati mediante la demolizione dei manufatti e di opere incongrue e il differimento della realizzazione di nuovi e più appropriati fabbricati di maggiore qualità nella stessa area o in altre aree.
L’individuazione delle caratteristiche comuni ai progetti e degli interventi che fino ad ora si sono avvalsi dei crediti edilizi evidenzia come essi abbiano rappresentato il riconoscimento alla proprietà o al soggetto attuatore di una quantità volumetrica, un diritto edificatorio distaccato dal suolo, finalizzata a compensare una perdita, il sacrificio di ius aedificandi già esistente: la rinuncia a realizzare tutta, o parte, di un determinato ammontare di capacità edificatoria riconosciuto da uno strumento urbanistico vigente o previgente, la compensazione per la demolizione (e quindi la concreta eliminazione del volume) di un manufatto improprio allo scopo di attuare una riqualificazione di un ambito, la compensazione per la cessione di un’area o un fabbricato al demanio comunale.
Il tratto comune di questi progetti è la dichiarazione, implicita od esplicita, che grazie al credito edilizio sia possibile conservare i diritti edificatori allo scopo di favorire l’attuazione di progetti garantendo, al soggetto privato, maggiore flessibilità nelle forme, nello spazio e nel tempo dello ius aedificandi e del valore economico ad esso sotteso, entro una strategia di pianificazione e di progettualità di sviluppo che ancorché rarefatto o denso rimane pur sempre additivo.
Prima della promulgazione della l.r. n.14/2017 sul contenimento del consumo di suolo, il paradigma economico e culturale su cui si basava il riconoscimento dei crediti edilizi si fondava sull’implicito riconoscimento che si trattasse di un istituto in grado di traslare la dimensione fisica o economica degli immobili e, soprattutto, di cartolarizzarne il valore economico. Il fatto che, fino ad ora, al credito edilizio sia stato associato, tanto dal soggetto pubblico quanto dagli operatori privati, un prevalente significato compensativo, formale e sostanziale, di fatto, ne ha orientato i modelli d’uso e i criteri per la sua quantificazione mostrandone opportunità ma, anche, limiti.
Se infatti, in alcuni contesti e per alcuni obiettivi, il principio compensativo rispetto al valore esistente appare il linea con gli obiettivi pubblici perseguiti (si pensi alla fattispecie dell’art. 37), il rapporto efficienza/efficacia nell’ambito dei progetti di riqualificazione edilizia ed ambientale richiede una maggiore capacità da parte del comune di governare i processi e i risultati rispetto ad attese (e le successive richieste) da parte della proprietà privata di norma poco interessata a mediare la propria “rendita d’attesa” o il “valore d’uso” degli immobili con gli obiettivi d’interesse pubblico che attraverso il riconoscimento dei crediti è chiamata a co-attuare.
La legge sul contenimento del consumo di suolo n. 14/2017 amplia i paradigmi culturali ed economici di riferimento per l’impiego dei crediti edilizi e, se nel perseguimento degli obiettivi delle politiche regionali, essi rimangono strumenti per una strategia di sviluppo sostenibile additivo per la valorizzazione e la trasformazione dell’ambiente costruito[1] e per la riqualificazione e la rigenerazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata[2], assumono rinnovato ed inedito ruolo quando vengono indicati come strumenti finalizzati alla promozione delle politiche di tutela e la rinaturalizzazione del territorio compromesso. È proprio entro questa strategia di sviluppo per sottrazione che appare necessario collocare i crediti da rinaturalizzazione, introdotti dalla l.r. n. 14/2019 per dare strumenti concreti al perseguimento degli obiettivi di miglioramento e ricostruzione condivisa di un nuovo territorio e paesaggio veneto.
Le questioni che emergono dalla lettura dell’articolo hanno quindi un doppio ordine di scala: il primo attiene ad una dimensione culturale, un cambio di passo rispetto al significato e significante che pubblico e privato hanno di norma associato ai crediti edilizi in questi primi 15 anni di vita dello strumento; il secondo attiene alle questioni di maggiore operatività connesse al loro impiego.
2. I manufatti incongrui e il ruolo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
L’incipit dell’articolo 4 dichiara che le questioni attinenti all’operatività e attuazione dei crediti da rinaturalizzazione sarà oggetto di uno specifico approfondimento di un atto applicativo della Giunta Regionale tuttavia, i contenuti della disposizione in commento consentono di individuare una serie di temi sui quali svolgere le prime riflessioni.
Lo scopo dei crediti edilizi di rinaturalizzazione è creare le condizioni di operatività per l’attuazione degli interventi di demolizione integrale già indicati all’articolo 5 comma 2 lett. a) della l.r. n. 14/2017 e quindi il loro riconoscimento è connesso all’attuazione di un progetto di riqualificazione urbanistica di un ambito mediante la rinaturalizzazione del suolo. Essi, quindi, rappresentano un sottoinsieme dei crediti edilizi istituiti all’art. 36 l.r. n. 11/2004 il cui riconoscimento è connesso in modo specifico ed esclusivo alla completa attuazione del processo di rinaturalizzazione che inizia con la demolizione integrale di tutti i manufatti che insistono su un’area, continua mediante le attività di rinaturalizzazione e si conclude, come indica la l.r. n. 14/2017 all’art. 5 c. 3, con il mantenimento del suolo in condizioni di rinaturalizzazione e di inedificabilità per un periodo non inferiore a 10 anni.
Ciò che rileva ai fini del riconoscimento del credito edilizio da rinaturalizzazione è proprio l’obiettivo della “sottrazione” finalizzata a riportare naturalità e permeabilità attraverso l’eliminazione di una specifica categoria di manufatti edilizi, i fabbricati e manufatti dismessi e inutilizzati, che, come afferma lo stesso legislatore all’art. 2 c.1 lettera f) l.r. 14/2017, per “caratteristiche localizzative, morfologiche, strutturali, funzionali, volumetriche od estetiche, costituiscono elementi non congruenti con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, o sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza”.
Secondo una lettura economico-prestazionale quindi, gli oggetti delle demolizioni hanno completato il ciclo di vita utile, esaurendo tutte le dimensioni del valore: la qualità tecnica ed edilizia, la funzionalità e l’efficienza prestazionale e l’efficacia economica per i quali erano stati realizzati oltra a quella economica che li caratterizzava. Anzi, sotto il profilo economico, tali manufatti verosimilmente rappresentano brani del paesaggio che generano effetti negativi, spesso sottovalutati o non considerati in una prospettiva razionale dalla stessa proprietà, oltre che innumerevoli esternalità negative sulle proprietà di terzi e sul contesto e paesaggio circostante generando costi che si riflettono sui valori economici e sociali della comunità locale e sul territorio anche ad ampia scala.
3. Una nuova prospettiva dell’interesse pubblico: la demolizione
È interessante sottolineare come il legislatore abbia voluto porre l’attenzione proprio su questo aspetto all’art. 4 c.2 lettera a) indicando nella demolizione un’azione finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, laddove attraverso la sottrazione e l’eliminazione di un elemento detrattore, è possibile creare valore per la comunità e il paesaggio e limitare i costi privati connessi alla presenza dell’oggetto incongruo.
L’elemento paradigmatico che segna la specificità della demolizione come dispositivo di creazione di valore sta proprio in questa rinnovata prospettiva di valore associata a molteplici componenti. In primo luogo, la demolizione libera valore poiché agisce su un manufatto incongruo i cui costi di gestione possono rappresentare una leva su cui intervenire per rendere interessante la trasformazione (si pensi, ad esempio, alla tassazione locale che sarà plausibilmente più onerosa per l’immobile rispetto all’area naturalizzata e resa inedificabile) e il cui costo opportunità sarà plausibilmente nullo poiché non vi sono usi alternativi economicamente convenienti e interessati per un mercato che sta cambiando. Inoltre, il valore dell’area permeabile che rimane in capo alla proprietà può assumere nuovi apprezzamenti connessi alla qualità ecologica, ambientale, agricola oltre al beneficio pubblico generato alla comunità dalla demolizione e dalla naturalizzazione dei luoghi.
Più che un calcolo basato sulla razionalità economica, ostacolo a questa nuova prospettiva da parte del soggetto privato può essere la percezione soggettiva del valore della proprietà e una resistenza alla trasformazione a partire da un’errata valutazione del valore d’uso riconosciuto dal mercato al bene. A questo scopo è utile ritornare alla domanda prodromica a qualunque azione di demolizione che conduca alla rinaturalizzazione del territorio: quali sono le caratteristiche di un’opera incongrua o un elemento di degrado?
Dall’analisi della l.r. n. 14/2019 e della precedente l.r. n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo ciò che si evince che il legislatore regionale ha fornito criteri e principi generali, rimandando alla competenza dei Comuni e all’eventuale interesse dei proprietari l’individuazione dei manufatti incongrui la cui demolizione rappresenta elemento di valore per la comunità e per il paesaggio e quindi genera un beneficio pubblico.
Difatti, ciò che è incongruo e degradato lo è secondo un giudizio che può essere elaborato secondo diverse prospettive, alla luce dei significati che questi aggettivi assumono. Nella prospettiva pubblica, del Comune, saranno gli obiettivi pubblici sottesi alle azioni di riqualificazione e rinaturalizzazione del territorio che forniranno i criteri per l’individuazione dei manufatti incongrui. Nella prospettiva di una comunità, sarà incongruo un immobile o un’area che per le proprie condizioni di inadeguatezza crea un disvalore alle proprietà adiacenti, rappresenta una minaccia alla sicurezza fisica o sociale della comunità o che limita un più proficuo utilizzo dei luoghi. Infine, nella prospettiva della proprietà, un manufatto potrà essere giudicato incongruo nel momento in cui non è più in grado di assolvere efficacemente alle esigenze funzionali ed economiche che ne avevano motivato la costruzione e, per queste ragioni, il mercato non né riconosce più alcuna utilità e quindi alcun valore economico.
4. Il ruolo dei Comuni nella progettazione della rinaturalizzazione: la variante e l’avviso
Rispetto ad un contesto decisionale certamente caratterizzato da molteplici interessi ed istanze pubbliche e private, la pianificazione e le scelte urbanistiche promosse dal comune assumono un ruolo centrale nel processo di rinaturalizzazione del territorio. Il legislatore ha introdotto infatti due strumenti la cui efficacia è connessa alla capacità di un impiego sinergico da parte dei comuni: la variante allo strumento urbanistico di cui al comma 2 e l’avviso per l’individuazione dei fabbricati incongrui di cui al comma 3.
Infatti, la rinaturalizzazione del territorio rappresenta un obiettivo da perseguire attraverso specifiche politiche governate dal soggetto pubblico che si deve avvalere dell’avviso impiegandolo come strumento esplorativo degli interessi e delle opportunità attivabili con la cooperazione dei proprietari privati lasciandosi tuttavia la possibilità di individuare direttamente eventuali altri manufatti incongrui, di proprietà pubblica o privata, in coerenza agli obiettivi d’interesse pubblico che il Comune intende perseguire attraverso le azioni di demolizione e rinaturalizzazione.
In questa prospettiva, la variante può diventare l’occasione per strutturare lo “spazio del problema” e progettare la rinaturalizzazione del territorio individuando obiettivi, linee d’azione, esiti attesi con la partecipazione dei soggetti privati i quali, attraverso l’avviso e la presentazione delle manifestazioni d’interesse, divengono soggetti attivi, partecipi di un progetto condiviso tra comune, proprietà e comunità.
La variante ha quindi un ruolo centrale poiché stabilisce le regole ed i criteri per l’impiego dei crediti edilizi da rinaturalizzazione rispetto alle motivazioni ed obiettivi d’interesse pubblico connessi alla demolizione e alla rinaturalizzazione del proprio territorio ed è utile sottolineare come la mancata elaborazione di un progetto da parte del comune, rischia di trasformare la variante in una raccolta di interazioni occasionali e non strutturate fra i partecipanti e comune, perdendo l’opportunità di attivare la cooperazione dei soggetti privati per attuare una strategia di lungo periodo per il cleaning organizzato e strutturato del territorio.
Attraverso la variante infatti il comune può governare i principali aspetti del processo di rinaturalizzazione modulando regole e criteri, in funzione degli obiettivi pubblici che intende perseguire dalla fase iniziale dell’individuazione dei manufatti incongrui oggetto di demolizione (comma 2 lettera a)) fino all’individuazione delle aree di utilizzo degli stessi (comma 2 lettera c)) passando per il momento di attribuzione dei crediti da rinaturalizzazione in ragione dei criteri che saranno oggetto di approfondimento nel provvedimento della Giunta regionale. Inoltre, in essa possono trovare spazio contenuti finalizzati ad indicare elementi di natura progettuale e/o prestazionale tanto degli interventi demolitori quanto, soprattutto, di quelli da rinaturalizzazione.
Uno dei compiti della variante di cui all’art. 4 c.2 è quindi quello di attribuire i crediti edilizi da rinaturalizzazione in relazione agli interventi demolitori i quali saranno riconosciuti e successivamente iscritti nell’apposita sezione del Registro dei crediti, RECRED. L’approvazione della Variante che individua i manufatti incongrui consentirà ai proprietari di attivarsi per la demolizione e la rinaturalizzazione degli ambiti conoscendo l’ammontare dei crediti edilizi riconosciuti a fronte dell’intervento. Alla fase di progettualità urbanistica e programmatoria delle strategie di naturalizzazione seguirà la fase di attuazione degli interventi, portando con sé diverse questioni, in parte già anticipate nel testo normativo e in parte meritevoli di approfondimento nel provvedimento giuntale a cui rimanda il legislatore.
Seguendo le indicazioni congiunte delle due leggi, la l.r. n. 14/2017 e la l.r. n. 14/2019, la concreta spendibilità dei crediti da rinaturalizzazione è connessa al raggiungimento dell’interesse pubblico, ovvero all’attuazione dell’intervento di rinaturalizzazione che certamente riguarderà l’integrale demolizione, come ricorda la l.r. n. 14/2017 art. 5 c. 3, ma plausibilmente comprenderà un più ampio insieme di attività funzionali non solo alla rimozione del manufatto incongruo, ma anche al raggiungimento delle condizioni di permeabilità e naturalità dei suoli già definite nella Variante (cfr. art. 4 c. 2 lett. a)).
L’efficacia dell’attuazione degli interventi di rinaturalizzazione potrà essere amplificata portando l’attenzione rispetto al percorso procedurale dall’avvio del procedimento fino alle modalità di accertamento dell’intervento demolitorio e della rinaturalizzazione, coerentemente ai contenuti dell’art. 4 c. 1 lett. c) sulle quali ancora una volta si rimanda al provvedimento già citato.
Parimenti, un altro aspetto sul quale certamente sarà necessario porre attenzione riguarda il destino circa lo stato di diritto e di fatto delle aree successivamente all’intervento demolitorio laddove il primo rimanda alla disciplina urbanistica che le caratterizzerà tanto alla luce della presenza del vincolo di inedificabilità assoluta almeno di durata decennale quanto in rapporto con collocazione in contesti urbani piuttosto che agricoli mentre il secondo dovrà affrontare il tema del mantenimento di un livello minimo di qualità prestazionale del suolo, soprattutto per le aree collocate in contesti urbanizzati. Quest’ultimo aspetto, irrilevante nelle aree collocate in contesti rurali, laddove la naturalità non governata antropicamente rappresenta un valore aggiunto, appare tutt’altro che banale per i suoli collocati in ambiti urbani per i quali l’individuazione di condizioni minime di manutenzione appare essenziale per il mantenimento della rinnovata qualità dei luoghi introdotta dalla rinaturalizzazione.
5. Un nuovo paradigma per la quantificazione dei crediti
Tra le innovazioni più significative portate dalla legge in commento vi è l’introduzione di una fattispecie di crediti edilizi, quelli da rinaturalizzazione, entro un processo di trasformazione urbanistica che riconosce nella demolizione, nell’eliminazione del degrado antropico e nella naturalizzazione e permeabilizzazione del suolo azioni finalizzate alla creazione di valore nella duplice prospettiva della proprietà e della comunità.
Nella norma, la disciplina specifica dei crediti da rinaturalizzazione viene rimandata al provvedimento della Giunta regionale, anticipando alcuni elementi di particolare attenzione. Un primo aspetto attiene alla specificità del manufatto da tenere in considerazione nel riconoscimento dei crediti edilizi (comma 1 lettera a)). Questo punto introduce alcune questioni di non poco conto: si pensi, ad esempio, alle modalità di trattamento di immobili incongrui caratterizzati da eccezionali dimensioni superficiarie o volumetriche, come un fabbricato destinato ad allevamento zootecnico od un fabbricato artigianale o industriale oppure ambiti incongrui caratterizzati da una modesta presenza volumetrica ma da ampie superfici pavimentate.
A ciò si ricollega un secondo elemento (comma 2 lettera a) punto 1)) che rimanda, oltre che alle caratteristiche circa lo stato di fatto e alla destinazione d’uso, alla localizzazione del manufatto incongruo laddove la componente localizzativa appare un elemento rilevante più che nel giudizio circa le caratteristiche posizionali del fabbricato, nell’elaborazione del giudizio circa l’interazione tra il manufatto incongruo e il contesto e, quindi, l’interesse pubblico della demolizione.
Il terzo elemento su cui va posta l’attenzione attiene ai parametri che caratterizzano l’intervento di demolizione e rinaturalizzazione laddove la norma al comma 2 lettera a) punto 2) cita come parametri rilevanti ai fini della determinazione dei crediti, i costi in capo al soggetto per l’attuazione dell’intervento ovvero i costi funzionali alla demolizione delle opere e all’eventuale bonifica oltre agli interventi di ripristino della permeabilità dei suoli mediante la rinaturalizzazione.
L’ultimo aspetto comprende gli elementi di differenziazione in relazione all’impiego dei crediti in ragione alle specifiche destinazioni d’uso, le caratteristiche tipologiche delle aree o degli ambiti di sfruttamento (comma 2 lettera a) punto 3)). Anche su questo tema il provvedimento giuntale dovrà confrontarsi, affrontando diverse questioni: la quantificazione dei crediti di rinaturalizzazione in funzione degli ambiti di impiego; i modelli in grado di facilitare la quantificazione dei crediti edilizi all’atto dell’iscrizione nel RECRED e il successivo impiego. Le regole e i criteri non potranno che essere flessibili, per lasciare spazio all’innovazione che, in quanto tale, non può essere prevista e regole che consentano ai soggetti di agire attraverso nuove opportunità e creatività con nuovi prodotti, nuove funzioni e nuove competenze entro un quadro di certezze.
Se quindi il riconoscimento dei crediti edilizi da rinaturalizzazione rappresenta una misura che incoraggia e stimola gli operatori privati verso modelli di valorizzazione del suolo che promuovano la riqualificazione sostenibile del territorio mediante operazioni in sottrazione rispetto ad un esistente che ha perduto significato e valore economico, la loro quantificazione sarà il risultato di un’equilibrata mediazione tra l’interesse pubblico dell’intervento, i benefici privati esito della trasformazione e i costi dell’intervento.
Rispetto a modelli urbanistici consolidati, usi a creare valore attraverso la conservazione e il riconoscimento di capacità edificatoria il cambio di paradigma è straordinario. Tuttavia, non si tratta di un’innovazione assoluta poiché tanto il mercato quando il soggetto privato hanno già mostrato di avere colto il senso di un’innovazione culturale volta a riconoscere nella proprietà immobiliare, nel possesso di una porzione del territorio, una complessità di valori che esulano da quelli connessi esclusivamente allo ius aedificandi: si pensi, ad esempio, al processo di riclassificazione delle aree edificabili attraverso le cosiddette “Varianti verdi” di cui all’art. 7 l.r. n. 4/2016.
Analogamente a quanto avviene per un’area edificabile che, attraverso una variante verde, si trasforma in un’area priva di edificabilità disponibile ad usi alternativi, il processo di rinaturalizzazione del suolo è finalizzato a liberare il suolo dai manufatti incongrui che lo impermeabilizzano e lo limitano nelle fruizioni alternative e nella sua relazione con il paesaggio e la sua comunità di riferimento.
I crediti edilizi da rinaturalizzazione rappresentano dunque un istituto idoneo a incentivare un processo di sviluppo sostenibile basato sui principi dell’economia circolare. Il loro riconoscimento non si fonda sulla logica compensativa ovvero sul principio della traslazione dei volumi poiché questi ultimi rappresentano scarti avendo esaurito il ciclo di vita utile del fabbricato. Quindi, proprio seguendo l’approccio circolare, questi scarti possono diventare materia prima nell’ambito di un nuovo processo produttivo, offrendo nuove opportunità alla capacità collaborativa tra soggetti che deve diventare il nuovo driver della riqualificazione urbana promossa tanto dalla legge 14/2017 quanto dalla legge 14/2019.
6. Gli impieghi dei crediti da rinaturalizzazione
L’ultima parte su cui si porta l’attenzione riguarda gli impieghi dei crediti da rinaturalizzazione. Si tratta infatti dell’ultimo passaggio operativo che sancirà il successo del nuovo istituto. Le evidenze empiriche rispetto ai crediti edilizi hanno evidenziato le criticità di un mercato, quello dei diritti edificatori, che stenta ad attivarsi sotto il profilo della domanda anche a fronte di una superiore certezza del diritto introdotta con la modifica dell’art. 2643 del Codice Civile mentre dal punto di vista dell’offerta si caratterizza per maggiore attività, come evidenzia l’analisi dei registri dei crediti edilizi presenti nel Piani degli Interventi vigenti.
Rispetto alle esperienze sviluppatesi per regolare l’uso dei crediti edilizi di cui all’art. 36 della l.r. n. 11/2004, il legislatore ha ampliato le opportunità di impiego dei crediti da rinaturalizzazione poiché essi sono consentiti tanto negli interventi previsti all’art. 6 e art. 7 della l.r. n. 14/2019 quanto in aree opportunamente individuate nell’ambito della variante riservate alla loro utilizzazione come indicato all’art. 4 comma 2 lettera c) ovvero in aree caratterizzate da indici di edificabilità differenziata che ne possano consentire l’uso.
La peculiarità più significativa è rappresentata dal fatto che i crediti edilizi da rinaturalizzazione rappresentano gli unici diritti edificatori in grado di avvantaggiarsi delle regole introdotte dalla l.r. n. 14/2019 ed utilizzabili nell’ambito degli interventi edilizi di ampliamento di cui all’art. 6 e negli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio di cui all’art. 7: in entrambi i casi la massima percentuale di ampliamento ammissibile dalla norma è raggiungibile proprio mediante l’utilizzo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
Per quanto riguarda le aree dedicate in modo più o meno esclusivo al loro utilizzo, il dispositivo giuntale richiamato al comma 1 dell’art. 4 potrà affrontare i principali temi: dalla definizione delle aree destinate al loro impiego alle modalità di accoglimento dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, fino al riconoscimento di un livello di capacità edificatoria differenziale allo scopo di stabilire l’ammontare di crediti che un’area può, o deve, ospitare, approfondendo le questioni circa l’obbligatorietà o la facoltà di acquisire i crediti edilizi e sensibilizzando i comuni verso lo sviluppo di regole e meccanismi di trasferimento flessibili in grado di rendere più efficiente il mercato e facilitare l’incontro tra gli operatori della domanda e dell’offerta.
[1] La l.r. N. 14/2017 all’art. 5 comma 2 lett. a) riprende i contenuti dell’art. 36 comma 3 e, coerentemente agli obiettivi dichiarati nell’art. 1 di riduzione della copertura artificiale del suolo, la tutela del paesaggio, la rinaturalizzazione di suolo impropriamente occupato, precisa ulteriormente il perimetro del possibile riconoscimento dei crediti edilizi.
Il primo ambito d’impiego è indicato nella Lettera a) e riguarda il contenimento del consumo di suolo mediante demolizione integrale di opere incongrue e elementi di degrado. Il secondo ambito d’impiego è indicato nella lettera b) e attiene alla promozione di interventi di riqualificazione e miglioramento di tutte le componenti (architettoniche, edilizie, tecniche e tecnologiche, ambientale, di accessibilità, ecc..) del patrimonio edilizio esistente.
[2] La l.r. n. 14/2017 anche all’art. 6 comma 2 riprende i contenuti dell’art. 36 comma 3 portando l’attenzione sugli interventi a scala urbana, e non più edilizia, che possono generare i crediti. Ancora una volta, la legge, coerentemente agli obiettivi dichiarati nell’art. 1 di riqualificazione e rigenerazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, precisa il perimetro delle azioni già indicate nell’ art. 36 l.r. n. 11/2004.