Commento all’art. 4 l.r. n. 14/2019: A. I crediti edilizi: disciplina generale – B. La disciplina dei crediti edilizi da rinaturalizzazione – C. La valorizzazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
La disciplina dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
di Diego Signor
Sommario: 1. La disciplina di dettaglio per i crediti edilizi da rinaturalizzazione: il provvedimento della Giunta regionale di cui alla lettera d), del comma 2, dell’articolo 4, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 – 2. Il contenuto del provvedimento di Giunta regionale di cui al comma 1 dell’articolo 4 – 3. (segue) I criteri attuativi e le modalità operative per l’attribuzione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione – 4. (segue) I criteri operativi relativi ai crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali (rinvio) – 5. La variante alla strumentazione urbanistica comunale: il ruolo dei comuni – 6. (segue) La variante alla strumentazione urbanistica comunale: le proposte dei privati – 7. La disciplina dei manufatti individuati come incongrui dalla variante – 8. Le previsioni contenute negli ultimi quattro commi dell’articolo 4
1. La disciplina di dettaglio per i crediti edilizi da rinaturalizzazione: il provvedimento della Giunta regionale di cui alla lettera d), del comma 2, dell’articolo 4, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14
L’articolo 4 contiene talune (invero: importanti) disposizioni per l’operatività dei crediti edilizi da rinaturalizzazione: demandando la definizione più specifica della relativa disciplina ad un successivo provvedimento della Giunta regionale, da adottarsi “entro quattro mesi dall’entrata in vigore della … legge” regionale n. 14/2019, “sentita la competente commissione consiliare”.
Quella di rinviare ad un provvedimento di Giunta regionale la normativa di dettaglio è soluzione (pure contenuta nel disegno di legge adottato dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 43/DDL in data 8 ottobre 2018 e presentato al Consiglio regionale con il n. 402 del registro dei progetti di legge) che è coerente con l’impostazione seguita, in materia, dalla legge regionale 6 giugno 2017 n. 14. Quest’ultima legge invero, da un lato, nel suo articolo 5 già aveva “battezzato”, quali massimamente rispondenti alle finalità della riqualificazione e del contenimento del consumo di suolo, gli interventi di demolizione integrale di opere incongrue o di elementi di degrado, individuando nel “riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata” (cfr. articolo 5, comma 2, l.r. n. 14/2017) una delle misure contemplabili dalla strumentazione urbanistica comunale (in alternativa o in uno con premialità in termini volumetrici o di superficie ovvero con la riduzione del contributo di costruzione) per agevolare i ridetti interventi. Dall’altro lato la l.r. n.14/2017, nel suo articolo 4, certo in considerazione della complessità della materia difficilmente compendiabile in un testo di legge, ha demandato alla Giunta regionale, “sentita la competente commissione consiliare”, la definizione delle regole e delle “misure applicative ed organizzative per la determinazione, registrazione e circolazione dei crediti edilizi, tenendo conto di quanto previsto dall’articolo 46, comma 1, lettera c), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11” (ovverosia tenendo conto del fatto che già la citata disposizione contenuta nella l.r. n. 11/2004 aveva previsto un atto di Giunta regionale per disciplinare – nei termini, da tempo decorsi, e con le modalità procedimentali ivi indicati – “i criteri per l’omogenea applicazione”, inter alia, dei “crediti edilizi” di cui all’articolo 36, l.r. n. 11/2004).
Si tratta, d’altro canto, di una soluzione che sotto altro profilo, nel consentire – durante la fase di concreta applicazione delle legge regionale e del provvedimento giuntale di cui all’articolo 4, comma 1 – di apportare eventuali modifiche ed integrazioni alla disciplina di dettaglio così emanata secondo un iter più rapido (atto di Giunta regionale, “sentita la competente commissione consiliare”), risponde a quelle stesse esigenze di semplificazione procedimentale (funzionali a fornire una più rapida risposta a mutate esigenze di politica urbanistica) che sono alla base della scelta legislativa di permettere la modifica dell’allegato A alla l.r. n. 14/2019 (sugli incrementi percentuali di cui agli articoli 6, comma 3 e 7, comma 2) senza un nuovo passaggio in Consiglio regionale, ma “con deliberazione di Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare”.
2. Il contenuto del provvedimento di Giunta regionale di cui al comma 1 dell’articolo 4
Tre sono le tematiche – elencate alle lettere a), b) e c) del comma 1 – che “in particolare” dovranno essere affrontate nel provvedimento giuntale chiamato dall’articolo 4 a dettare una specifica disciplina per i crediti edilizi da rinaturalizzazione:
- indicazioni specifiche sulle modalità da osservare per accertare il completamento dell’intervento demolitorio e la rinaturalizzazione (ovverosia per accertare l’intervenuta realizzazione di quell’attività di cleaning che rappresenta la condicio sine qua non per acquisire i crediti edilizi da rinaturalizzazione da iscrivere in apposita sezione nel Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi di cui all’articolo 17, comma 5, lett. e) della l.r. n. 11/2004 – RECRED);
- i criteri generali (modalità applicative e termini) che i comuni dovranno seguire per procedere all’iscrizione dei crediti edilizi nel RECRED (una volta accertato l’intervenuto completamento delle attività di demolizione del manufatto incongruo e di rinaturalizzazione) e per procedere alla cancellazione dei crediti a fronte dell’utilizzo della relativa capacità edificatoria;
- soprattutto, i criteri attuativi e le modalità operative da osservarsi per attribuire agli interventi demolitori i crediti edilizi da rinaturalizzazione.
È di certo quella da ultimo ricordata la tematica più importante e più complessa che dovrà disciplinare il provvedimento giuntale di cui all’articolo 4 comma 1, fermo restando che anche con riferimento alle altre due tematiche su indicate non mancano criticità di sicuro rilievo da affrontarsi nell’atto di Giunta regionale.
Ad esempio: per comprovare l’intervenuto completamento dell’intervento di cleaning, quale atto necessario e presupposto per l’iscrizione del credito nel RECRED, basterà una dichiarazione sostitutiva ex d.P.R. 445/2000 da formalizzarsi a cura della parte privata interessata e successivamente da verificare a cura del comune, come si potrebbe ipotizzare giusta l’insussistenza di ragioni ostative al ricorso agli strumenti di semplificazione procedimentale? Oppure servirà un atto formale “di accertamento” del comune, come potrebbe far intendere il testo normativo nella misura in cui lo stesso fa riferimento alla definizione di “modalità” di accertamento? La trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari del vincolo di non edificazione sul suolo ripristinato all’uso naturale, ai sensi dell’articolo 5, comma 3, l.r. n. 14/2019 (cfr. infra), dovrà essere formalizzata (e quindi comprovata) prima che si proceda all’iscrizione del credito generato dall’intervento di demolizione e ripristino de quo? Oppure la parte interessata potrà pretendere che la trascrizione faccia seguito all’iscrizione del credito nel RECRED da parte del comune quale passaggio con cui si formalizza il riconoscimento di quella “agevolazione”, sub specie di capacità edificatoria “premiale”, che l’articolo 5, comma 3 cit. indica come presupposto per l’obbligo, in capo al “beneficiario delle agevolazioni”, di procedere alla trascrizione del vincolo di non edificazione?
Ancora: la cancellazione del credito dal RECRED dovrà intervenire già nel momento in cui l’intervento edilizio contemplante l’utilizzo dello stesso formerà oggetto del relativo titolo edilizio, con l’assegnazione definitiva della capacità edificatoria al compendio immobiliare interessato dal progetto di intervento? Oppure si può pensare di attendere il completamento dell’intervento edilizio, per andare a definire solamente in quel momento la quantità di “capacità edificatoria” effettivamente “consumata” dal titolare del credito e per converso quella, residua, che potrebbe successivamente formare oggetto di libera commercializzazione? E come va determinata l’area, ripristinata all’uso naturale, che va assoggettata a vincolo di non edificazione? Si tratterà solo della superficie in precedenza “coperta” dal manufatto incongruo o si potranno fare anche valutazioni diverse, a fronte della specificità dei singoli casi?
Non è da ultimo irrilevante ricordare, in tema di cancellazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, che nel testo approvato dal Consiglio regionale è stata stralciata la previsione, contenuta nel disegno di legge adottato dalla Giunta, che limitava a dieci anni (decorrenti dall’iscrizione nel RECRED) il periodo di efficacia ed utilizzabilità dei crediti de quibus.
3. (segue) I criteri attuativi e le modalità operative per l’attribuzione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione
Il provvedimento giuntale di cui al comma 1 dell’articolo 4, nel dettare la specifica disciplina sui criteri attuativi e sulle modalità operative che dovranno essere osservati, da parte dei comuni, per attribuire agli interventi demolitori i crediti edilizi da rinaturalizzazione, dovrà ovviamente considerare i principali parametri fissati, al riguardo, dalla l.r. n. 14/2019, quali elencati nella lettera a) del comma 2.
I costi di demolizione del manufatto incongruo, nonché i costi di rinaturalizzazione dell’area su cui il ridetto manufatto si colloca (e così pure i costi per l’“eventuale bonifica”), da un lato, e, dall’altro lato, la “localizzazione, consistenza volumetrica o di superficie e destinazione d’uso del manufatto esistente” rappresentano i principali elementi che la normativa veneta impone di considerare per definire la “specificità” del manufatto cui ricollegare la determinazione dei crediti edilizi da attribuire con l’apposita variante allo strumento urbanistico generale comunale.
Da una parte, dunque, il parametro legato al costo dell’operazione di cleaning (demolizione; eventuale bonifica; rinaturalizzazione) e quindi un parametro che contribuisce a definire la “specificità del manufatto” – articolo 4, comma 1, lett. a) – non già considerando il manufatto in sé, ma considerando l’onere economico necessario per eliminare dal territorio quel manufatto; dall’altra parte, il parametro (legato alla “localizzazione, consistenza volumetrica o di superficie e destinazione d’uso del manufatto esistente”) che, per converso, nel definire o nel contribuire a definire la “specificità del manufatto”, tiene in considerazione il manufatto in sé.
Si tratta di due parametri, rilevanti al fine di definire quanto previsto nella lett. a) del comma 1 dell’articolo in esame, che si pongono su piani opposti.
Ed è certo scelta delicata, soprattutto dal punto di vista della politica urbanistica, andare a definire, nel provvedimento di Giunta regionale, il bilanciamento di questi due parametri nella definizione dei criteri generali da seguire al fine di addivenire all’attribuzione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
Perché se si definisce il credito edilizio de quo, inteso come capacità edificatoria da attribuire alla demolizione di un manufatto incongruo, muovendo principalmente dal parametro riferito al costo di demolizione e rinaturalizzazione:
- in primis significa muovere, in questo calcolo, da un valore economico (il costo, appunto, dell’intervento di cleaning) e rapportarsi poi a questo parametro economico per definire, con un rapporto proporzionale definito dal comune nell’osservanza dei criteri attuativi fissati dalla Giunta regionale, il valore economico (da esprimersi alla fine con una capacità edificatoria) che si intende riconoscere alla parte interessata per incentivare la demolizione di un dato manufatto (a fronte dell’interesse pubblico in tal senso, giusta “il valore derivante alla comunità e al paesaggio dall’eliminazione dell’elemento detrattore”: cfr. articolo 4, comma 2, lett. a), di cui infra);
- significa in secondo luogo considerare, per converso, la tipologia di manufatto da demolire e quindi la sua consistenza (volumetrica o di superficie), la sua destinazione e la sua localizzazione come elementi che rilevano per decidere se e come incrementare o diminuire (a seconda dell’interesse comunale alla demolizione del manufatto in relazione alla sua peculiare localizzazione o alla sua peculiare consistenza) il rapporto tra il valore economico riconosciuto (in termini di capacità edificatoria) per il caso di rinaturalizzazione e il valore economico relativo al costo da sostenere per l’intervento di demolizione e rinaturalizzazione.
Diversamente, se si definisce il credito edilizio de quo muovendo principalmente dal parametro riferito alla consistenza e localizzazione del manufatto (e quindi se si riconosce come credito edilizio una nuova capacità edificatoria parametrata, principalmente, alla volumetria o superficie e alla destinazione, nonché alla localizzazione della struttura da demolire) vuol dire riconoscere un valore (capacità edificatoria) che non è tanto pensato e determinato quale contributo, quale incentivo all’assunzione del costo di demolizione del manufatto, ma che è piuttosto determinato come valore che va a “compensare” in parte una perdita di valore del manufatto che viene demolito.
È – si è detto – scelta delicata quella, in parte qua, rimessa al provvedimento di Giunta regionale, che, nel dare ai comuni indicazioni operative da seguire per considerare la “specificità del manufatto” alla cui demolizione attribuire crediti edilizi, dovrà definire i parametri di calcolo per la determinazione dei crediti decidendo anzitutto, come detto, se considerare, quale principale parametro di calcolo, la demolizione del manufatto (e quindi il costo di demolizione e di rinaturalizzazione) o, per converso, il manufatto in sé (e quindi la sua localizzazione, consistenza volumetrica e di superficie, destinazione d’uso).
Indicazione parimenti importante, sempre rimessa al provvedimento di Giunta regionale di cui all’articolo 4 in esame, è quella riferita alla possibilità di disciplinare la determinazione dell’attribuzione di crediti edilizi da rinaturalizzazione come capacità edificatoria declinabile in termini quantitativi diversi (espressi, in particolare, in volumetria o in superficie) e pure differenziabili “in relazione alle possibili destinazioni d’uso” (residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale). A titolo esemplificativo, la Giunta regionale potrà dare indicazioni operative per consentire ai comuni, una volta definita la capacità edificatoria da riconoscere ad un dato intervento demolitorio e di rinaturalizzazione, di esprimerla tanto in termini di volume quanto in termini di superficie e, ancora, di esprimerla in misura diversa a seconda della destinazione d’uso data alla superficie realizzanda.
Giusta il tenore letterale del comma 1 dell’articolo in esame, i criteri e le modalità definite dalla Regione Veneto in punto attribuzione di crediti edilizi (al pari, del resto, delle modalità definite dalla Giunta in materia di iscrizione e cancellazione dei crediti nel RECRED) sono vincolanti (“da osservarsi”) per i comuni. Nulla osta, peraltro, a che il provvedimento di Giunta regionale, al fine di garantire una maggiore autonomia agli Enti comunali anche nella gestione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, fornisca (non già indicazioni prescrittive ed inderogabili, ma) indirizzi operativi e di riferimento per le Amministrazioni locali, lasciando ai comuni la facoltà di derogare o di introdurre motivate modifiche per il proprio territorio.
4. (segue) I criteri operativi relativi ai crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali (rinvio)
L’articolo in esame rimette al provvedimento giuntale da adottarsi entro il 4 agosto 2019 (termine ordinario) una quarta tematica: la disciplina relativa alla cessione, sul mercato, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali.
Si tratta di crediti edilizi per i quali l’articolo 5 (“Disposizioni per gli immobili pubblici”) detta una disciplina speciale, espressamente prevedendo che “gli immobili appartenenti ai comuni” (ma così pure gli immobili appartenenti “ad altri enti pubblici”) possono generare crediti edilizi da rinaturalizzazione “anche in deroga ai criteri generali di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1 dell’articolo 4”.
Si rinvia, al riguardo, allo specifico commento riferito all’articolo 5 e alle osservazioni ivi contenute anche per quanto riguarda la disciplina che in parte qua è dall’articolo 4 demandata al provvedimento di Giunta regionale di cui alla lettera d) del comma 2, dell’articolo 4, l.r. n. 14/2017.
5. La variante alla strumentazione urbanistica comunale: il ruolo dei comuni
Il secondo e il terzo comma dell’articolo 4 dettano disposizioni sulla variante allo strumento urbanistico comunale che i comuni devono approvare per addivenire al riconoscimento dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
La procedura di approvazione della variante, “per i comuni non dotati di piani di assetto del territorio” è quella “semplificata” di cui ai commi 6, 7 e 8 dell’articolo 50, l.r. n. 61/1985. I comuni dotati del PAT devono, per converso, seguire la procedura dettata per le varianti al piano degli interventi dai commi da 2 a 6 dell’articolo 18, l.r. n. 11/2004.
Meno semplice è definire il contenuto di questa variante che i comuni sono chiamati ad approvare “entro dodici mesi dall’adozione del provvedimento della Giunta regionale di cui al comma 1”, e successivamente “con cadenza annuale”, sulla falsariga di ciò che è già stato previsto per le “varianti verdi per la riclassificazione di aree edificabili” dall’articolo 7 della legge regionale 16 marzo 2015, n. 4
Primario oggetto della variante è l’individuazione, all’interno del territorio comunale, dei manufatti incongrui – quali definiti dall’articolo 2, comma 1, lett. b) al cui commento si rinvia – la cui demolizione (con rinaturalizzazione del suolo) consente di conseguire i crediti edilizi da rinaturalizzazione.
L’individuazione dei ridetti manufatti può essere fatta autonomamente dal comune o può essere operata accogliendo una richiesta in tal senso presentata dall’“avente titolo” (per tale dovendosi considerare tanto il proprietario del manufatto incongruo, quanto un eventuale promissario acquirente legittimato alla presentazione della richiesta in forza di specifica previsione del contratto preliminare di cessione): nella consapevolezza che, come meglio si evidenzierà nel prosieguo, la classificazione, in sede di strumentazione urbanistica comunale, di un manufatto quale “incongruo” ai sensi dell’articolo 4 in esame (ovverosia la classificazione dell’opera incongrua o dell’elemento di degrado quale manufatto la cui demolizione consente l’acquisizione di un credito edilizio da rinaturalizzazione) non obbliga certo l’avente titolo a demolire il manufatto individuato dal comune come incongruo (salve eventuali previsioni di accordi convenzionali pubblico-privati che dovessero accompagnare la variante), ma comporta comunque l’operatività della previsione di cui al comma 4 (la quale ultima, come meglio si evidenzierà infra, limita in modo importante gli interventi edilizi realizzabili sui manufatti classificati appunto quali “incongrui”).
Non qualsivoglia manufatto, ancorché in stato di degrado o abbandonato, può essere classificato come incongruo ai sensi della variante in esame, richiedendosi, da un lato, che ci si trovi in presenza di manufatti (edifici o comunque altri elementi realizzati sul territorio) che “per caratteristiche localizzative, morfologiche, strutturali, funzionali, volumetriche od estetiche” “costituiscono elementi non congruenti con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, o sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza” (si veda la definizione di “opere incongrue o elementi di degrado” di cui all’articolo 2, comma 1, lett. f), della l.r. n. 14/2017 quale richiamata dalla definizione di “manufatti incongrui” di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 2, l.r. n. 14/2019); e, dall’altro lato, potendosi e dovendosi attribuire crediti edilizi da rinaturalizzazione esclusivamente ai manufatti incongrui la cui demolizione risponda prioritariamente al pubblico interesse, e ciò “tenendo in considerazione il valore derivante alla comunità e al paesaggio dall’eliminazione dell’elemento detrattore” (il disegno di legge adottato dalla Giunta regionale in data 8 ottobre 2018 parlava di “rilevante e prioritario interesse pubblico”).
La previsione dello strumento urbanistico comunale può non limitarsi ad individuare un data opera o un dato elemento di degrado quale manufatto incongruo alla cui demolizione consegue il riconoscimento di un credito edilizio, potendo arrivare a definire, in situazioni peculiari (a titolo esemplificativo: manufatto di rilevanti dimensioni o localizzato in un contesto che richiede particolare attenzione nel momento in cui si va ad intervenire in loco), le “condizioni cui eventualmente subordinare gli interventi demolitori del singolo manufatto e gli interventi necessari per la rimozione dell’impermeabilizzazione del suolo e per la sua rinaturalizzazione”.
Si ritiene altresì che ben possa la variante in esame, nel momento in cui va ad individuare un manufatto quale incongruo, andare a specificare quella che dovrà essere la porzione di suolo da rinaturalizzare (“a valle” della demolizione) e successivamente da assoggettare a vincolo di non edificazione ai sensi dell’articolo 5, comma 3, l.r. 14/2017.
La seconda, importante valutazione rimessa al comune con la variante in esame è quella relativa al credito edilizio da attribuire al singolo intervento demolitorio e di rinaturalizzazione: attribuzione da farsi – nell’osservanza delle modalità attuative e dei criteri fissati dal provvedimento di Giunta regionale di cui al comma 1 – sulla base dei parametri che si sono prima ricordati (costi di demolizione e di eventuale bonifica, nonché di rinaturalizzazione; localizzazione, consistenza volumetrica o di superficie e destinazione d’uso del manufatto esistente): potendosi arrivare a differenziare il credito edilizio non solamente in funzione di specifiche destinazioni d’uso, ma anche “in funzione … delle tipologie di aree o zone di successivo utilizzo” (si potrà prevedere, in sostanza, che un credito edilizio si sostanzia in una data capacità edificatoria se realizzata in una determinata zona periferica – fermo ovviamente restando che non potrà comunque trattarsi di zona agricola, giusta il disposto dell’articolo 8, al cui commento si rinvia –, nel mentre si traduce in una capacità edificatoria inferiore se realizzata in una zona più centrale, maggiormente urbanizzata o comunque dove più importanti sono i valori dei diritti edificatori).
Particolarmente delicata potrebbe essere la tematica della determinazione dei costi di demolizione del manufatto incongruo e “di eventuale bonifica” nonché di rinaturalizzazione, quale parametro da considerare per la definizione del credito edilizio da attribuire: tematica la cui importanza giustifica e richiede che siano fornite, con il provvedimento giuntale di cui al comma 1, puntuali indicazioni sulle modalità attuative da seguire (ed in particolare sul livello di analisi tecnico-progettuale che deve essere fatta per determinare i costi dei ridetti interventi, sui “prezziari” cui fare riferimento, sulle modalità da seguire per decidere se considerare quale costo di intervento da “indennizzare” con il credito edilizio anche l’eventuale costo per bonifiche che il proprietario dell’immobile fosse comunque ex lege tenuto ad eseguire).
Una ulteriore scelta, discrezionale, è rimessa alla variante urbanistica in esame: quella di andare ad individuare (negli ambiti di urbanizzazione consolidata e al di fuori delle zone agricole) “eventuali aree riservate all’utilizzazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione” (si tratterà quindi di aree dove sarà precluso qualsivoglia intervento di nuova edificazione che non contempli l’utilizzo dei crediti edilizi de quibus) ovvero di “aree nelle quali sono previsti indici di edificabilità differenziata in funzione del loro utilizzo” (si tratterà quindi di aree dove vi sarà comunque la possibilità di un contenuto sviluppo edificatorio, con la contestuale previsione di una maggior edificazione attraverso lo sfruttamento, in loco, della capacità edificatoria legata ai crediti edilizi da rinaturalizzazione).
Proprio la previsione della possibilità, per il comune, di individuare aree “dedicate”, in tutto o in parte, all’utilizzo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione conferma che i ridetti crediti non sono necessariamente da utilizzarsi per gli interventi edilizi di ampliamento e di riqualificazione del tessuto edilizio di cui agli articoli 6 e 7 della legge regionale n. 14/2019, potendo diventare un importante strumento di governo e di pianificazione in mano al comune, cui è rimessa l’importante scelta di politica urbanistica di regolamentare lo sviluppo edificatorio nel proprio territorio (o in talune aree del proprio territorio), subordinandolo al previo completamento degli interventi di eliminazione di manufatti incongrui ed elementi detrattori, ai quali consegue il riconoscimento di crediti edilizi da sfruttare nelle aree all’uopo indicate (con ciò innescando un circolo virtuoso per cui si costruisce il nuovo solamente se prima si è demolito, in altre aree, il degradato).
6. (segue) La variante alla strumentazione urbanistica comunale: le proposte dei privati
L’adozione della variante urbanistica deve essere preceduta dalla pubblicazione, da parte dei comuni, di un avviso con il quale gli Enti locali, al fine di ricevere contributi per l’individuazione dei manufatti incongrui, “invitano gli aventi titolo a presentare, entro i successivi sessanta giorni, la richiesta di classificazione dei manufatti incongrui”.
Non necessariamente la richiesta deve essere presentata dal proprietario dell’opera o dell’elemento di degrado da demolire: “avente titolo”, come già evidenziato, ben può essere un promissario acquirente, che ad esempio – nella prospettiva di acquisire un credito edilizio da utilizzare per un intervento di ampliamento ai sensi dell’articolo 6, l.r. 14/2017 o per un intervento di riqualificazione ai sensi del successivo articolo 7 ovvero ancora per una nuova edificazione nelle aree eventualmente riservate dal comune, in tutto o in parte, per l’utilizzo dei crediti edilizi – abbia sottoscritto con il proprietario della struttura un preliminare che risulti sospensivamente condizionato alla successiva individuazione del manufatto, da parte del comune, quale manufatto incongruo e con il quale venga autorizzato il promissario acquirente a presentare all’Ente locale la richiesta di classificazione de qua.
Il comma 3 dell’articolo 4 precisa il contenuto “minimo” che deve avere la relazione descrittiva del manufatto incongruo. Omette peraltro, da un lato, di evidenziare l’importanza che la ridetta relazione contenga anche una stima di quelli che dovrebbero essere “i costi di demolizione e di eventuale bonifica nonché di rinaturalizzazione” e, dall’altro lato, non chiarisce il contenuto caratterizzante l’avviso che dovrà essere pubblicato (“con cadenza annuale”) dai comuni e che, si ritiene, dovrà indicare i parametri e i criteri di massima che il singolo comune seguirà nella valutazione delle proposte per l’individuazione dei manufatti incongrui (e, conseguentemente, per l’attribuzione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione).
Di rilievo la previsione per cui la relazione da allegare all’istanza di classificazione può comprendere (si tratta di un contenuto facoltativo e non già obbligatorio) uno studio di fattibilità di intervento edificatorio finalizzato all’utilizzo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione che potrebbero essere assegnati al manufatto incongruo nella misura in cui il comune dovesse ritenere la demolizione di quel manufatto “di interesse pubblico”, giusta il “valore derivante alla comunità e al paesaggio dall’eliminazione dell’elemento detrattore”.
Si tratta di una previsione importante sotto due profili.
Da un lato il comune, avendo cura di riportare un’indicazione in tal senso nell’avviso prodromico all’adozione e all’approvazione della variante, a fronte di più proposte per la classificazione di manufatti quali incongrui la cui demolizione sia ritenuta dall’Ente locale parimenti rispondente all’interesse pubblico, e a fronte della scelta urbanistica di contenere comunque il riconoscimento di crediti edilizi, potrebbe preferire le proposte di classificazione di manufatti incongrui accompagnate da uno studio di fattibilità di un intervento edificatorio finalizzato ad un concreto utilizzo degli attribuendi crediti: quanto sopra per il fatto che uno studio di fattibilità sull’effettivo utilizzo dei crediti – meglio se accompagnato da impegni formali alla demolizione del manufatto per l’ipotesi di accoglimento della richiesta di classificazione e di attribuzione di un congruo credito edilizio in conseguenza del completamento dell’intervento demolitorio e di rinaturalizzazione – dà maggiore garanzia che la programmata eliminazione del manufatto incongruo non resti solamente “sulla carta” (in attesa che il privato proprietario del manufatto individui, se del caso, interlocutori cui alienare effettivamente i crediti ovvero iniziative in cui sfruttare i ridetti crediti, che acquisirebbe dopo aver sostenuto i costi – per ipotesi importanti – di demolizione e rinaturalizzazione), ma si concretizzi rapidamente, sussistendo già le condizioni per utilizzare in tempi brevi gli acquisendi crediti edilizi.
Sotto un secondo profilo, la previsione è importante nella misura in cui potrebbe consentire la presentazione di “studi di fattibilità di interventi edificatori finalizzati all’utilizzo di crediti edilizi da rinaturalizzazione”, contemplanti – in esito all’approvazione della variante che classifica la struttura proposta quale manufatto incongruo – la sottoscrizione di una convenzione tra parte privata e comune (parte integrante del rilasciando titolo edilizio, ai sensi dell’articolo 11, l. n. 241/90) per la realizzazione dell’intervento di demolizione e ricostruzione e il contestuale utilizzo del credito così generato. E siffatta convenzione potrebbe prevedere che, per motivate ragioni, la realizzazione del nuovo edificato, con l’utilizzo dei crediti edilizi, non necessariamente segua il completamento dell’intervento di demolizione e rinaturalizzazione: si potrebbe in altri termini pensare ad una convenzione con il comune per il tramite della quale l’avente titolo, ad esempio proprietario e residente in una degradata abitazione in zona di pregio paesaggistico, si impegna senza condizione alcuna all’esecuzione dell’intervento di demolizione del manufatto incongruo e di rinaturalizzazione del suolo (presentando adeguate garanzie e contemplando convenzionalmente, per il caso di inadempimento, l’acquisizione del demolendo manufatto in mano pubblica, così da consentire la successiva demolizione da parte del comune con l’utilizzo delle somme di cui alla fideiussione escussa), da completarsi entro un termine perentorio decorrente dal rilascio dell’agibilità del nuovo edificato all’interno di un ambito di urbanizzazione consolidata (nuovo edificato dove, se del caso, l’avente titolo potrà trasferirsi prima di procedere all’intervento demolitorio). Si tratterebbe di un intervento (impostato in modo sostanzialmente analogo a quanto già previsto dal comma 3 dell’articolo 9, l.r. n. 14/2019 per gli edifici localizzati in aree dichiarate di pericolosità idraulica e) che, di fatto, derogherebbe certo alla “regola” in forza della quale il credito edilizio da rinaturalizzazione (ovverosia la capacità edificatoria da sfruttare per il nuovo edificato) viene attribuita solamente una volta completato l’intervento di demolizione e rinaturalizzazione [cfr. la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lett. d), l.r. n. 14/2019: “a seguito della completa demolizione … e della rinaturalizzazione del suolo”]. E’ altrettanto vero, peraltro, che la l.r. n. 14/2019, nel disciplinare i crediti edilizi da rinaturalizzazione, lo ha fatto “in attuazione” [ci si permette di rinviare ancora una volta alla definizione dell’istituto, riportata nel citato articolo 2] “di quanto previsto dall’articolo 5, della legge regionale 6 giugno 2017, n.14”: articolo che già ha prescritto, in via ordinaria, che “le demolizioni devono precedere l’eventuale delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse”, ma ha fatto salve “eccezioni motivate”, richiedendo in tal caso la “prestazione di adeguate garanzie”.
La proposta dell’avente titolo in ordine alla classificazione del proprio manufatto quale incongruo (con la conseguente attribuzione del relativo credito edilizio da rinaturalizzazione) sarà valutata dall’Amministrazione con quell’importante discrezionalità che comunque caratterizza l’esercizio del potere comunale di pianificazione urbanistica, ferma l’importanza di dare contezza, in sede motivazionale, della coerenza della scelta fatta con le indicazioni riportate nell’avviso pubblicato almeno sessanta giorni prima dell’adozione della variante e così pure con l’interesse pubblico specifico in ordine alla classificazione, quali manufatti incongrui, delle sole opere o elementi di degrado la cui eliminazione possa considerarsi quale importante valore per la comunità e per il paesaggio.
Ovviamente non necessariamente il credito edilizio da rinaturalizzazione riconosciuto in sede di adozione della variante risponderà alle aspettative dell’avente titolo (se del caso rappresentate nella stessa relazione che ha accompagnato la richiesta di classificazione de qua), pronto a criticare, ad esempio, le valutazioni fatte dall’Ente comunale sui costi di demolizione del manufatto e di rinaturalizzazione o, ancora, le valutazioni sul valore commerciale della capacità edificatoria riconosciuta.
La fase di pubblicazione della variante adottata e di presentazione delle osservazioni rappresenta certo la sede per un ulteriore apporto di informazioni e dati, a favore del comune, da parte di chi si ritenga in tutto o in parte leso dalla variante o ritenga il credito edilizio riconosciuto comunque inidoneo a rendere realisticamente fattibile l’intervento (demolizione e successiva rinaturalizzazione) considerato dall’Amministrazione rispondente al pubblico interesse: così da consentire al comune di valutare le ridette osservazioni ed adottare le scelte definitive in sede di approvazione della variante urbanistica.
7. La disciplina dei manufatti individuati come incongrui dalla variante urbanistica
La classificazione di un’opera o di un elemento di degrado quale manufatto incongruo in forza della variante urbanistica di cui all’articolo 4, l.r. 14/2019, in esame non obbliga certo il proprietario all’intervento demolitorio e di successiva rinaturalizzazione (intervento per converso necessario se il ridetto proprietario, approvata la variante urbanistica, intenda acquisire concretamente i crediti edilizi riconosciuti a quel dato manufatto incongruo dalla strumentazione urbanistica).
Così come (non già la classificazione di un manufatto quale manufatto incongruo, ma) solamente il completamento dell’intervento di demolizione e rinaturalizzazione e l’acquisizione del credito edilizio da rinaturalizzazione attribuito dalla variante determinano, ai sensi dell’articolo 5, comma 3, l.r. 14/2017, l’assoggettamento del “suolo ripristinato all’uso naturale” “ad un vincolo di non edificazione, trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura e spese” del proprietario (vincolo che “permane fino all’approvazione di una specifica variante allo strumento urbanistico che non può essere adottata prima di dieci anni dalla trascrizione del vincolo”).
La classificazione di un’opera o di un elemento di degrado quale manufatto incongruo in forza della variante urbanistica di cui all’articolo 4, l.r. 14/19, risulta peraltro il passaggio necessario e sufficiente per ridurre in modo importante gli interventi edilizi attuabili sul manufatto medesimo, nelle more dell’eventuale successivo intervento di demolizione.
Il comma 4 prevede, invero, che per i “manufatti incongrui, individuati dalla variante allo strumento urbanistico” sono “consentiti esclusivamente” interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, quali definiti rispettivamente dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 3, d.P.R. 380/2001 recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” – TUE (il disegno di legge adottato dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 43/DDL in data 8 ottobre 2018 prevedeva di consentire, in relazione ai manufatti incongrui, anche interventi di restauro e di risanamento conservativo; la previsione è stata stralciata nel testo licenziato dalla II Commissione consiliare).
Il comma 4 fa salva la possibilità, per i comuni, di fissare anche “limiti più restrittivi”: ad esempio, consentendo, in relazione ai manufatti classificati quali incongrui, solamente interventi di manutenzione ordinaria ovvero escludendo la possibilità di quegli interventi di maggior consistenza edilizia (quali il frazionamento di unità immobiliari “con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione di uso”) che comunque il TUE ricomprende nella nozione di manutenzione ordinaria.
I rilevanti vincoli che introduce già la sola classificazione di un manufatto quale incongruo potrebbero giustificare l’interesse ad un ricorso impugnatorio contro la variante da parte degli aventi titolo che non abbiano richiesto al comune la classificazione de qua (il comune – si è detto – può procedere autonomamente, ovverosia pur in assenza della richiesta della parte privata, alla classificazione di un’opera o di un elemento di degrado quale manufatto incongruo) o che ritengano la classificazione da loro richiesta come classificazione non accompagnata dall’attribuzione di un congruo credito edilizio da rinaturalizzazione.
8. Le previsioni contenute negli ultimi quattro commi dell’articolo 4
Sulla circolazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione e sul richiamo, fatto sempre nel comma 5 dell’articolo 4, alla previsione di cui all’articolo 2643, comma 2 bis, del codice civile (articolo espressamente inserito nel codice dal d.l. 70/2011, conv. l. n. 103/2011 con l’espressa finalità di “garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori”), si rinvia alle considerazioni sviluppate nel commento dedicato all’analisi giuridica dell’istituto del credito edilizio.
Il sesto comma, con una norma di chiusura, prevede che, per quanto non disposto dalla l.r. n. 14/2019 in materia di crediti edilizi da rinaturalizzazione, “si applica l’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n.11”: si applica quindi anche la previsione, di cui al comma 5 dell’articolo 36 della menzionata legge regionale, secondo cui “salvi i casi in cui sia intervenuta la sanatoria secondo la normativa vigente, le opere, realizzate in violazione di norme di legge o di prescrizioni di strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica ovvero realizzate in assenza o in difformità dai titoli abilitativi, non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio”.
Gli ultimi due commi dell’articolo introducono un divieto di adottare varianti allo strumento urbanistico generale (piano regolatore generale, per i comuni non dotati di PAT; piano degli interventi per gli altri comuni) per gli Enti comunali che non abbiano ancora provveduto all’istituzione del RECRED.
Il ridetto divieto (dal quale sono escluse le sole varianti “che si rendono necessarie per l’adeguamento obbligatorio a disposizioni di legge”) è evidentemente misura fortemente “persuasiva”, pensata dal legislatore per sollecitare i comuni ad istituire il Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi, garantendo al riguardo “adeguate forme di pubblicità” (la previsione sulla necessità di adeguata pubblicità nell’iter di istituzione del RECRED, al pari della previsione sul termine entro cui istituire il registro – termine di tre mesi dall’entrata in vigore della legge, il cui inutile decorso non comporta altre “sanzioni” se non il protrarsi del divieto di varianti allo strumento urbanistico generale – è contenuta solamente nel comma 7, dedicato ai “comuni non dotati di PAT”; non vi sono ragioni, peraltro, per non applicarla anche ai comuni dotati di PAT e ancora privi del RECRED).
È da ultimo evidente che il Registro elettronico, per i comuni che ne siano privi, potrebbe essere istituito con la stessa variante di cui al comma 2 dell’articolo in esame, da approvarsi “entro dodici mesi dall’adozione del provvedimento della Giunta regionale di cui al comma 1”: nulla osta, peraltro, ad una sua introduzione con una precedente, autonoma variante, specie nella misura in cui il singolo Ente comunale si trovi nella necessità di modificare per altri profili il proprio strumento urbanistico e di superare quindi il divieto in tal senso introdotto negli ultimi due commi dell’articolo in esame.