di Bruno Barel e Francesco Foltran
ARTICOLO 16
Modifiche dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11
1. Il comma 1 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, è sostituito dal seguente:
“1. Il comune nell’ambito del piano di assetto del territorio (PAT) individua i criteri per identificare le opere incongrue, gli elementi di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola, e definisce gli obiettivi di ripristino e di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, architettonica, energetica, idraulica e ambientale del territorio che si intendono realizzare e gli indirizzi e le direttive relativi agli interventi da attuare.”.
2. Il comma 2 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, è sostituito dal seguente:
“2. Il comune con il piano degli interventi (PI) disciplina gli interventi di trasformazione da realizzare per conseguire gli obiettivi di cui al comma 1 ed individua le eventuali opere incongrue, gli elementi di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola.”.
Sommario: 1. Le modifiche del dettato originario dell’articolo 36 della legge 11/2004 – 2. Il coordinamento della legge 14/2019 con la legge 11/2004 – 3. Altri modi di utilizzazione di crediti edilizi – 4. Verso nuove politiche comunali di buon governo del territorio – 5. La demolizione crea valore
1. Le modifiche del dettato originario dell’articolo 36 della legge 11/2004
La disposizione in commento sostituisce i primi due dei cinque commi nei quali si articola l’articolo 36 della legge urbanistica regionale n. 11/2004, recante la rubrica “Riqualificazione ambientale e credito edilizio”.
Il nuovo dettato normativo si discosta da quello originario essenzialmente in un punto, relativo ai contenuti del PAT e del PI. Era previsto che il PAT identificasse direttamente le opere incongrue, gli elementi di degrado e gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola, lasciando al PI la sola disciplina degli interventi. Ora invece si dispone che il PAT si limiti a fissare i criteri di identificazione, rimettendo invece al PI, oltre che la disciplina degli interventi, anche la concreta individuazione dei beni e luoghi ove intervenire.
La nuova ripartizione di compiti fra i due strumenti di pianificazione è certamente più appropriata: sia in rapporto alla natura e finalità proprie dell’uno e dell’altro, in quanto l’individuazione concreta delle opere sulle quali intervenire rappresenta una scelta operativa e contingente, da effettuare tenendo conto anche di altre scelte proprie dello strumento conformativo e flessibile quale è il PI; sia per l’impulso che viene dato ora al credito edilizio quale strumento ordinario nella dinamica delle azioni di cleaning del territorio e degli interventi edilizi sul patrimonio esistente.
2. Il coordinamento della legge 14/2019 con la legge 11/2004
Questa disposizione rende evidente come la legge “Veneto 2050” non sia settoriale e speciale e temporanea, bensì aspiri ad inserirsi nell’alveo “classico” e consolidato della legislazione veneta e ne costituisca semmai evoluzione organica, in un contesto profondamente cambiato.
Il credito edilizio è stato concepito ed inserito nella legislazione regionale già dalla riforma del 2004, proprio con l’articolo 36, ma ha avuto scarso successo per una pluralità di motivi: dalla lentezza del processo di adeguamento della pianificazione locale ai nuovi indirizzi (neppure oggi completato da tutti i Comuni veneti) al sopravvenire della crisi economica e del mercato immobiliare, all’adozione di misure emergenziali come quelle del Piano casa.
Ora si ritorna – gradualmente e prudentemente – a sviluppare le potenzialità di quello strumento, creando condizioni favorevoli all’attivazione di un mercato dei crediti edilizi col favorirne l’assorbimento negli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, su base volontaria e ancora nell’ottica premiale per cui i crediti edilizi configurano un “bonus” incrementale rispetto a quello concesso ex lege.
Il segnale tuttavia è chiaro e indica una strategia di lungo termine, nel nuovo contesto culturale e politico disegnato dalla l.r. n. 14/2017 e dall’articolo 1 della l.r. n. 14/2019, caratterizzato dal freno all’espansione urbana e dall’inversione di tendenza verso un migliore uso del suolo già antropizzato e auspicabilmente anche verso un’azione di cleaning o “pulizia” o rinaturalizzazione del suolo sprecato.
Nel 2004 si osservava, commentando l’articolo 36 l.r. n. 11/2004, che era una delle disposizioni più innovative della riforma urbanistica veneta, diretta ambiziosamente a scardinare uno dei postulati più saldi dell’urbanistica, per cui “nulla si distrugge” in quanto ciò causerebbe perdita di cubatura e quindi distruzione di ricchezza, salvo che nei rari casi in cui il volume utile possa essere recuperato, in loco, come negli interventi di ristrutturazione edilizia pesante, o altrove, per lo più con interventi di ristrutturazione urbanistica o sulla base di piani di recupero o di riqualificazione. A tanta rigidità aveva contribuito quella giurisprudenza che, nell’assimilare a nuova costruzione gli interventi di demolizione integrale e ricostruzione, aveva imposto il rispetto – generalmente impossibile, di diritto e/o di fatto – degli attuali indici e parametri edilizi di zona, comprese le distanze minime da confini ed edifici circostanti.
La reazione, prima in giurisprudenza e poi anche nel TUE, si era limitata alla dilatazione della nozione di ristrutturazione nel senso della sostituzione edilizia, valorizzando la continuità temporale e la sostanziale omogeneità planivolumetrica tra edificio esistente e edificio nuovo: sempre comunque nella prospettiva della conservazione del valore mediante stabilizzazione del volume “dov’era e com’era”, peraltro con esiti spesso insoddisfacenti per tutti, nel senso di cristallizzare volumi in forme e luoghi non più rispondenti all’interesse pubblico attuale – per esempio per la contiguità a strade, a preesistenze, etc. – fingendo di ignorare che l’inevitabile adeguamento dell’opera alle mutate esigenze igieniche, di accessibilità e sicurezza, funzionali etc. genera inevitabilmente un corpus novum ad impatto ben differente da prima.
In mancanza di strumenti idonei a rendere possibile e non pregiudizievole economicamente la mera demolizione di manufatti esistenti, ossia a trasformare – in tutto o in parte – la volumetria esistente e demolita in un “credito” utilizzabile altrove, allora si era cercato di introdurre un principio di mobilità orizzontale dei volumi o eredità volumetrica, con conversione – in tutto o in parte – della volumetria esistente e demolita in capacità volumetrica da utilizzare in altra sede appropriata rimessa alle scelte del PI, ad opera del medesimo soggetto proprietario del bene demolito o anche di terzi cessionari.
Già nel 2004 la matrice dei crediti edilizi era ad ampio spettro: non solo la demolizione di opere incongrue ma anche l’eliminazione degli elementi di degrado, la realizzazione di interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino delle zone agricole, da intendersi come finalizzati al ripristino e alla riqualificazione paesaggistica, architettonica, ambientale. Includeva inoltre una funzione compensativa di acquisizioni para espropriative secondo la previsione dell’articolo 37 l.r. n. 11/2004.
La legge “Veneto 2050” lascia impregiudicata la possibilità per i Comuni di disciplinare e riconoscere crediti edilizi da compensazione, correlati cioè all’acquisizione pubblica o all’imposizione di vincoli pubblicistici su aree private, che continua ad essere disciplinata dall’articolo 37 l.r. n. 11/2004. Lascia altresì impregiudicata la disciplina dei crediti edilizi derivanti dalle altre cause pure indicate dalla legge urbanistica.
La novità è costituita, oltre che dalla disciplina operativa sviluppata ora dall’articolo 4 e dal previsto atto giuntale applicativo, dall’avere previsto che quei crediti edilizi che derivano da iniziative comportanti “rinaturalizzazione” di suolo abbiano un “assorbimento” privilegiato negli interventi di ampliamento o sostituzione del patrimonio edilizio esistente codificati ora dagli articoli 6 e 7.
La novità maggiore consiste dunque nell’avere creato le condizioni per l’attivazione di un mercato specifico per quei crediti edilizi che derivino da rinaturalizzazione, i quali soltanto sono riutilizzabili agevolmente nel recupero diretto del patrimonio edilizio esistente.
Chiara sembra dunque la volontà e la scelta del legislatore – appunto in linea di sviluppo coerente della l.r. n. 14/2017 – di privilegiare in questa sede un determinato tipo di crediti edilizi, per invertire la rotta del consumo di suolo con un’azione di cleaning immediatamente percepibile.
Di qui la specifica disciplina prevista, che orienta sia la genesi – e i limiti di riconoscimento – sia la dinamica gestionale dei crediti edilizi da rinaturalizzazione. Con un’indicazione immediata e netta: non è affatto riconosciuto né attribuito al proprietario degli immobili da demolire un diritto alla utilizzazione della volumetria esistente in altri luoghi, previa trasformazione della medesima in crediti edilizi “volanti”. Si tratta invece di una libera scelta dell’autorità pubblica – della Regione, anzitutto, e poi, nei limiti del binario prefissato, da parte del Comune – fondata sull’accertamento del disvalore pubblico delle opere individuate come degradate e da demolire e consistente in un’incentivazione alla demolizione con rinaturalizzazione del suolo, mediante un aiuto – informa di credito edilizio – a sopportarne i costi.
In altri termini, il riconoscimento di crediti edilizi da rinaturalizzazione trova fondamento nel particolare interesse pubblico a che siano realizzati determinati interventi di cleaning territoriale, individuati dall’autorità pubblica nel PI.
Il credito edilizio non è perciò correlato alla volumetria del bene da demolire, non equivale ad una sua monetizzazione indiretta né circolazione e vendita: cosa che sarebbe oltretutto dissonante col giudizio negativo espresso sullo stato dei luoghi e con gli obblighi e oneri gravanti sulla proprietà immobiliare. Rappresenta piuttosto un contributo incentivante la spesa per provvedere alla rinaturalizzazione dei luoghi.
La legge regionale n. 14/2019 rimanda ad un atto applicativo della Giunta regionale, e poi al PAT, la predeterminazione di criteri e modalità adeguati per uniformare la programmazione e gestione a livello comunale degli interventi, così da lasciare ai Comuni un range ragionevole di valutazione ma entro un contesto non arbitrario che rimanga fedele alle finalità di fondo e ai presupposti teorici dello strumento.
Merita infine richiamare l’attenzione sul disposto del quinto comma dell’articolo 36 l.r. n. 11/2004, regola generale integrativa anche della speciale disciplina della l.r. n. 14/2019, secondo cui le opere da demolire non devono essere abusive, dato che in quel caso la demolizione è doverosa. Si pone in proposito la delicata questione interpretativa se l’esclusione riguardi anche quei casi di edifici abusivi ma a causa di abusi parziali non essenziali per i quali non sia stata comminata una sanzione ripristinatoria bensì pecuniaria. A sanzione irrogata e pagata, si esaurisce il potere pubblico di imporre la modifica dello stato dei luoghi cosicché la situazione di diritto e di fatto che si determina corrisponde sostanzialmente a quella che si ha per immobili edificati legittimamente ma ormai in condizioni di degrado. Anche in quel caso, dunque, si potrebbe configurare un interesse pubblico alla rinaturalizzazione del suolo e quindi una motivazione ragionevole per l’attivazione degli incentivi alla demolizione.
3. Altri modi di utilizzazione di crediti edilizi
La circostanza che i crediti edilizi da rinaturalizzazione siano differenziati e valorizzati dalla legge in commento col premiarne l’assorbimento negli interventi sul patrimonio edilizio esistente disciplinati dagli articoli 6 e 7 non significa che essi non possano essere utilizzati anche in altri modi e contesti.
Nulla impedisce che se ne possa prevedere l’utilizzazione (anche) allo stesso modo dei crediti edilizi derivanti da interventi che non siano qualificabili come di rinaturalizzazione, o di quelli derivanti da compensazione urbanistica. Indicazioni in tal senso sono date già dal quarto comma dell’articolo 36 l.r. n. 11/2004, ove si prevede espressamente la possibilità per il pianificatore locale di attribuire a zone edificabili degli indici differenziati, con una riserva di capacità edificatoria destinata all’uso di crediti edilizi. Una sua nota applicazione si è avuta nel Veneto da parte del piano regolatore generale del Comune di Verona. Indicazioni ulteriori sulle possibili modalità di utilizzazione di crediti edilizi si rinvengono nell’articolo 6 l.r. n. 14/2017 quanto agli interventi di rigenerazione urbana, e implicitamente anche nel successivo articolo 7 sui programmi di rigenerazione urbana sostenibile.
4. Verso nuove politiche comunali di buon governo del territorio
Gli strumenti messi a disposizione delle amministrazioni comunali, in un quadro normativo che si è fatto ora più nitido e articolato, aprono d’ora in avanti maggiori spazi per un’incisiva politica locale di buon governo della trasformazione del tessuto urbano e periurbano e la riqualificazione del territorio in senso paesaggistico ed ambientale, inclusa la qualità architettonica.
Proprio per la loro incisività e per le implicazioni che ne conseguono, tuttavia, questi strumenti dovranno essere usati dalle Amministrazioni, e dagli urbanisti, con prudenza e misura, cercando di governare con gradualità e metodo i trasferimenti di volume in ambiti definiti e controllati, in un dosaggio equilibrato con il ricorso ad altre tecniche di pianificazione.
In questo senso, i contenuti di PAT e PI dovranno essere oggetto di particolare ponderazione, anche nelle loro implicazioni economiche. Si tratta infatti di un serbatoio di potenziali risorse che, se usato con oculatezza, può orientare il mercato senza squilibrarlo, evitando il rischio sia della formazione di nuovi monopoli di crediti edilizi, sia di eccessi di offerta, con diluizione del valore dei crediti edilizi e perdita di incisività nella loro funzione essenziale di mezzi di promozione della rinaturalizzazione dei suoli e di riordino territoriale ed urbano.
Ma non sfugge neppure il pericolo opposto, di una gestione troppo selettiva e restrittiva dell’offerta. Tale pericolo è accentuato dal fatto che anche immobili pubblici possono essere scelti come potenziali generatori di crediti edilizi da rinaturalizzazione (cfr. articolo 5), di talché potrebbe sorgere la tentazione di privilegiare gli immobili pubblici meritevoli di demolizione, ai fini della generazione di crediti edilizi, in modo da alimentare le esangui entrate dei bilanci comunali col ricavato dalla cessione sul mercato di crediti edilizi di matrice pubblica. In proposito, va osservato anzitutto che devono in ogni caso – anche per beni pubblici – sussistere i presupposti fissati dalla legge perché la demolizione di immobili con rinaturalizzazione del suolo sia incentivabile mediante riconoscimento di crediti edilizi, con scelte compiute dal PI ma puntuali e motivate e perciò maggiormente suscettibili di un sindacato di legittimità del PI da parte del giudice amministrativo. In secondo luogo, pur essendo ampio il margine di discrezionalità lasciato ai consigli comunali nella individuazione col PI degli interventi meritevoli di incentivi, spetta loro il potere-dovere di non agire in contrasto con la finalità della legge, che è quella di favorire quanto più possibile la rinaturalizzazione del suolo e perciò di aprire reali spazi di mercato per i potenziali fruitori di crediti edilizi, evitando la creazione di monopoli – anche pubblici – sul versante dell’offerta, e la formazione di prezzi irragionevolmente elevati e tali da disincentivarne l’acquisto e l’uso.
5. La demolizione crea valore
L’attenzione posta sugli incentivi per sostenere i costi di demolizione e di rinaturalizzazione del suolo, quasi che si trattasse di una perdita netta e totale di valore per il bene privato, non deve distrarre da una più profonda riflessione sul valore liberato da questo genere di interventi, ossia sul valore del suolo rinaturalizzato. Se si interviene in zona agricola, non sfuggirà come lo spazio liberato, rimesso in relazione col territorio circostante, riespanda le sue potenzialità produttive agricole e possa comportare un miglioramento anche per l’assetto e le pratiche agricole della più ampia zona nella quale ricade.
Se si interviene in zona di urbanizzazione consolidata, è ancora più evidente come l’aprirsi di uno spazio nel tessuto urbano rappresenti una straordinaria opportunità e occasione di riqualificazione per tutto l’intorno. Un nuovo spazio da destinare a verde o a parcheggio o a parco giochi in un ambito urbano rappresenta in realtà un valore sociale ed anche economico che in molte situazioni può risultare ben maggiore di quello riferibile alla precedente condizione dei luoghi.
Se si analizzano tutti i fattori rilevanti, incluso ad esempio il venir meno del regime tributario gravante sui manufatti, o il venir meno delle responsabilità e degli oneri di varia natura connessi alla proprietà di immobili degradati ed in abbandono, risulta sovente che la riqualificazione dei luoghi può rivelarsi creativa di valore, individuale e collettivo. È in questo senso significativo che si riscontri oggi maggiore attenzione che nel passato per la città inedificata, per gli spazi liberi urbani, per il ruolo del verde come fattore di benessere e di attrattività turistica. Il valore immobiliare sarà sempre meno collegato al metro cubo edificato o edificabile e sempre più alla rispondenza dei luoghi alle attese della comunità, alla capacità di soddisfare valori collettivi.