Legge regionale 4 aprile 2019, n. 14 “Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”. Disposizioni di indirizzo e applicative ai sensi dell’articolo 17, comma 8.
Sommario
[Urbanistica] Indirizzata ai Signori Sindaci dei Comuni del Veneto; ai Signori Presidenti delle Amministrazioni Provinciali del Veneto; e, p.c. all’ANCI Veneto; all’Unione Province del Veneto – Loro sedi –
Premesse
In data 6 aprile 2019 è entrata in vigore la legge regionale 4 aprile 2019, n. 14 “Veneto 2050”: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” che, coerentemente con quanto disposto dalla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 sul contenimento del consumo di suolo, prevede una serie di misure che incentivano e premiano la sostituzione ed il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente e la riqualificazione energetica degli edifici, da realizzare anche attraverso la promozione della qualità dei caratteri edilizi ed architettonici degli edifici, per un più generale miglioramento della qualità della vita. In continuità, quindi, con tale citata disciplina sul contenimento del suolo, la legge regionale n. 14/2019 promuove operazioni di rinaturalizzazione del suolo occupato da manufatti incongrui, mediante la loro demolizione e il riconoscimento di uno specifico credito edilizio definito di rinaturalizzazione. Si tratta di un istituto particolarmente qualificante che rientra nel più ampio genere dei crediti edilizi, già previsti dalle citate leggi regionali n. 11/2004 (articoli 36 e 46) e n. 14/2017 (art. 4), e che, a differenza di quest’ultime, richiede, a fronte del riconoscimento di una capacità edificatoria, il ripristino delle naturali condizioni di permeabilità del suolo attraverso, appunto, la rinaturalizzazione dello stesso. La determinazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione avviene mediante apposita variante allo strumento urbanistico generale, spettando quindi ai comuni di valutare l’interesse pubblico all’eliminazione del manufatto incongruo. Sul tema dei crediti edilizi, va peraltro ricordato che la Giunta regionale, con deliberazione n. 263 del 2 marzo 2020 (BUR n. 30 del 10 marzo 2020), ha dettato le regole e le misure applicative ed organizzative per la determinazione, registrazione e circolazione dei crediti edilizi ai sensi di quanto previsto dell’articolo 4, comma 2, lettera d) della legge regionale n. 14/2017 e dall’articolo 4, comma 1, della legge regionale n. 14/2019. Gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente previsti dalla legge regionale n. 14/2019 sono essenzialmente interventi di ampliamento o di demolizione e ricostruzione dell’edificio, che associano, alla presenza delle condizioni elencate rispettivamente agli articoli 6 e 7, le premialità volumetriche e di superficie, quantificate in un apposito allegato alla legge regionale (allegato A) in funzione della destinazione d’uso residenziale o non residenziale dell’edificio; tra dette condizioni figurano, in particolare, l’utilizzo di materiali di recupero o di coperture a verde, la realizzazione di pareti ventilate, l’isolamento acustico, l’adozione di sistemi di recupero per le acque piovane, la rimozione e lo smaltimento del cemento amianto, nonché l’utilizzo di BACS (Building Automation Control System) e BIM (Building Information Modeling) nella progettazione dell’intervento. Considerata la complessità del testo normativo, con il presente provvedimento, anche in ottemperanza a quanto dispone l’articolo 17, comma 8, si forniscono indicazioni al fine di superare eventuali dubbi interpretativi e, nel contempo, rendere agevole ed uniforme l’applicazione delle norme di nuova introduzione. Si ritiene inoltre utile evidenziare che non saranno oggetto di commento le disposizioni che, per loro natura e contenuto, non presentano particolari problematiche applicative o interpretative e, più precisamente, le disposizioni di cui al Titolo IV (articoli 12, 13, 14 e 15) e al Titolo V (articolo 16), nonché gli articoli 18 e 20 della legge regionale n. 14/2019: nel caso degli articoli 12 e 15, si tratta di previsioni normative che non richiedono specifiche precisazioni, mentre relativamente agli articoli 13 e 14, spetterà alla Giunta regionale fornire, con apposito provvedimento, le modalità attuative e i conseguenti adempimenti. Infine, l’articolo 16 si limita ad introdurre nella legge regionale n. 11/2004 le modifiche necessarie a garantire il coordinamento con la nuova legge regionale (per l’esattezza, vengono sostituiti i commi 1 e 2 dell’articolo 36 “Riqualificazione ambientale e credito edilizio”), mentre per quanto riguarda le altre disposizioni non commentate, l’una (articolo 18) contiene la norma finanziaria, l’altra (articolo 20) dispone l’entrata in vigore della legge in esame.
Art. 1 Finalità.
1. La Regione del Veneto, nell’ambito delle finalità di contenimento del consumo di suolo nonché di rigenerazione e riqualificazione del patrimonio immobiliare, promuove misure volte al miglioramento della qualità della vita delle persone all’interno delle città e al riordino urbano mediante la realizzazione di interventi mirati alla coesione sociale, alla tutela delle disabilità, alla qualità architettonica, alla sostenibilità ed efficienza ambientale con particolare attenzione all’economia circolare e alla bioedilizia, alla valorizzazione del paesaggio, alla rinaturalizzazione del territorio veneto e al preferibile utilizzo agricolo del suolo, alla implementazione delle centralità urbane, nonché alla sicurezza delle aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica.
2. Per le finalità di cui al comma 1, la presente legge, in particolare, promuove politiche per la densificazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, mediante la demolizione di manufatti incongrui e la riqualificazione edilizia ed ambientale, contemplando specifiche premialità e incrementi volumetrici connessi all’utilizzo di crediti edilizi da rinaturalizzazione.
L’articolo, che si limita ad enunciare le finalità perseguite dalla normativa, pur non presentando particolari problematiche applicative, tuttavia si rivela particolarmente utile ai fini dell’interpretazione delle disposizioni contenute nella legge in esame. Infatti, tra le sue prime finalità vi è il richiamo al contenimento del consumo di suolo e alla rigenerazione e riqualificazione del patrimonio immobiliare, a dimostrare la continuità del percorso già intrapreso dal legislatore regionale nel 2017; ad esse si accompagnano una serie di obiettivi di valorizzazione del territorio e sostenibilità, di riqualificazione edilizia ed ambientale, di sicurezza e tutela delle disabilità. Particolare rilievo va riconosciuto al comma 2 che, nel rafforzare le finalità del comma 1, incentiva operazioni idonee a privilegiare processi di densificazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata che hanno lo scopo di favorire la “pulizia del territorio” da elementi di degrado urbanistico, così contribuendo al riordino urbano ed al miglioramento della qualità della vita. La traduzione di tali finalità è poi rinvenibile nei successivi articoli, dove il legislatore ha previsto misure operative concrete e un rigoroso bilanciamento delle premialità con i benefici generati a vantaggio del territorio e della comunità, (risparmio di energia e di acqua, riduzione del calore da irraggiamento, sicurezza antisismica, bioedilizia, ecc…).
Art. 2 Definizioni.
1. Ai fini della presente legge, si intende per:
a) qualità architettonica: l’esito di un coerente e funzionale sviluppo progettuale, architettonico, urbanistico e paesaggistico che rispetti i principi di utilità e funzionalità, con particolare attenzione all’impatto visivo sul territorio, alla sostenibilità energetica ed ecologica, alla qualità tecnologica dei materiali e delle soluzioni adottate, in un percorso di valorizzazione culturale e identitaria dell’architettura e degli spazi urbani;
b) manufatti incongrui: le opere incongrue o gli elementi di degrado di cui alla lettera f), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio””, individuati, anche su istanza di soggetti privati, dallo strumento urbanistico comunale, secondo quanto previsto dall’articolo 4;
c) rinaturalizzazione del suolo: intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale; la superficie così ripristinata deve consentire il naturale deflusso delle acque meteoriche e, ove possibile, di raggiungere la falda acquifera;
d) crediti edilizi da rinaturalizzazione: capacità edificatoria di cui al comma 4, dell’articolo 36, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo, secondo quanto previsto dall’articolo 4;
e) fonti energetiche rinnovabili: le fonti energetiche rinnovabili non fossili di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”;
f) materiale di recupero: materiali inerti che hanno cessato la loro qualifica di rifiuti a seguito di specifiche operazioni di recupero, incluso il riciclaggio, e che quindi soddisfano i criteri specifici adottati o da adottare nel rispetto delle condizioni definite dall’articolo 184 ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”;
g) prima casa di abitazione: unità immobiliare con destinazione residenziale, in proprietà, usufrutto o altro diritto reale, in cui l’avente titolo o i suoi familiari risiedono oppure si obblighino a stabilire la residenza e a mantenerla per un periodo non inferiore a cinque anni successivi all’agibilità dell’edificio. Per familiari si intendono il coniuge e i parenti fino al terzo grado in linea retta;
h) ambiti di urbanizzazione consolidata: gli ambiti di cui alla lettera e), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14;
i) prestazione energetica dell’edificio: prestazione energetica risultante dall’applicazione del decreto ministeriale 26 giugno 2015 “Adeguamento del decreto del Ministro dello Sviluppo economico, 26 giugno 2009 – Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”.
L’articolo ha lo scopo di chiarire il significato dei termini e concetti fondamentali per la corretta applicazione della legge regionale, come meglio specificati nella parte che segue:
Lettera a) qualità architettonica
Relativamente alla definizione di ‘qualità architettonica’ si è ritenuto di focalizzare l’attenzione sulla necessità che tutti i soggetti, che solitamente sono coinvolti in un intervento edilizio, siano consapevoli dell’importanza che l’esito finale della realizzazione di un manufatto edilizio, destinato a durare nel tempo e a cambiare anche parzialmente l’aspetto ed il contesto paesaggistico di un paese o di una città, riveste per la collettività. Pertanto la committenza, le figure professionali coinvolte nella progettazione nonché l’ente che autorizzerà l’intervento edilizio, opereranno affinché gli interventi edilizi creino un valore aggiunto in termini di qualità architettonica che sappia tenere conto sia di soluzione tecniche e tecnologiche innovative e rispettose dell’ambiente, sia delle tradizioni storiche e del contesto paesaggistico nel quale verranno poi realizzate, in un percorso virtuoso generatore di qualità edilizia, di efficienza energetica e di valorizzazione territoriale.
Lettera b) manufatti incongrui
La legge regionale definisce chiaramente i manufatti incongrui, rinviando integralmente a quanto previsto dalla norma regionale in materia di contenimento del consumo di suolo, ossia sono le opere incongrue o gli elementi di degrado definiti all’art. 2, comma 1, lettera f) della legge regionale n. 14/2017 come “gli edifici e gli altri manufatti, assoggettabili agli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale di cui all’articolo 5, che per caratteristiche localizzative, morfologiche, strutturali, funzionali, volumetriche od estetiche, costituiscono elementi non congruenti con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, o sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza”. Tali manufatti, pertanto, in un’accezione più generale possono essere definiti come quegli elementi (manufatti e/o impianti tecnologici, edifici, aree pavimentate ecc.) che, avendo completato il ciclo di vita utile sotto il profilo tecnico, funzionale ed economico, costituiscono elementi detrattori per il contesto paesaggistico, ambientale o urbanistico e la cui demolizione, pertanto, può rivestire aspetti di interesse pubblico e costituire una priorità per la collettività. La demolizione e la successiva rinaturalizzazione dell’area, come si vedrà in seguito, costituirà il primo passo per ottenere i Crediti Edilizi da Rinaturalizzazione (CER) i quali costituiscono una delle principali novità introdotte dalla legge regionale n. 14/2019. I manufatti incongrui sono individuati dal Comune attraverso una specifica variante allo strumento urbanistico (art. 4, comma 2, della legge regionale n. 14/2019) anche su specifica richiesta da parte dei privati. Per ulteriori aspetti si rinvia alla DGR n. 263 del 2 marzo 2020 con la quale sono state approvate le “Regole e misure applicative ed organizzative per la determinazione dei crediti edilizi. Criteri attuativi e modalità operative per attribuire i crediti edilizi da rinaturalizzazione” in adempimento di quanto previsto dall’articolo 4, comma 2, lettera d) della legge regionale n. 14/2017 e dall’articolo 4, comma 1, della legge regionale n. 14/2019.
Lettera c) rinaturalizzazione del suolo
La definizione opera un rinvio alla nozione di “superficie naturale e seminaturale” contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a) della legge sul contenimento del consumo di suolo n. 14/2017, integrandola con ulteriori elementi di novità relativi alla bonifica ambientale ed al ripristino del naturale deflusso delle acque meteoriche. Traspare chiaramente che la rinaturalizzazione del suolo che si attua attraverso la demolizione dei manufatti incongrui e delle opere di degrado, per essere considerata tale nell’intenzione del legislatore regionale deve comportare il ripristino concreto delle originarie condizioni di naturalità del suolo, garantendo le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche, sia attraverso l’integrale ripristino ambientale, ove necessario secondo le disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006, sia garantendo la permeabilità del terreno, ove possibile fino al raggiungimento della falda acquifera, attraverso l’eliminazione di ogni barriera e/o elemento che vi si frapponesse (fondazioni, platee, piastre cementificate ecc.).
Lettera d) crediti edilizi da rinaturalizzazione
L’istituto dei crediti edilizi da rinaturalizzazione (di seguito CER), rappresenta una delle principali novità introdotte dalla legge “Veneto 2050”. Tali crediti rappresentano una capacità edificatoria, espressa in volume (mc) o in superficie (mq) a seconda dei parametri edilizi utilizzati dal singolo Comune, riconosciuta ai proprietari dei beni a seguito dell’integrale demolizione delle opere incongrue e/o degli elementi di degrado così come individuati dalla specifica variante urbanistica, che i comuni dovranno approvare secondo quanto previsto dal successivo articolo 4 della legge regionale n. 14/2019 ed in conformità con le regole e misure applicative approvate con la citata DGR n. 263 del 2 marzo 2020, e della connessa rinaturalizzazione dell’area.
Lettera e) fonti energetiche rinnovabili
Le fonti energetiche rinnovabili sono definite con diretto richiamo alle disposizioni del decreto legislativo n. 28/2011. La legge regionale n. 14/2019 incentiva l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili non fossili. Infatti i benefici derivanti dall’applicazione dei successivi articoli 6 e 7 della legge regionale, rispettivamente per gli interventi di ampliamento e di sostituzione edilizia, devono necessariamente prevederne l’impiego.
Lettera f) materiale di recupero
Altro elemento di novità introdotto dal legislatore regionale è quello costituito dalla possibilità di ottenere dei benefici, in termini volumetrici o di superficie, utilizzando, negli interventi di ampliamento di cui all’articolo 6 o in quelli di sostituzione edilizia di cui all’articolo 7, dei materiali di recupero di cui all’articolo 184 ter “Cessazione della qualifica di rifiuto” del decreto legislativo n. 152/2006. L’obiettivo è evidentemente quello di rafforzare l’utilizzo di circuiti virtuosi di recupero del materiale già utilizzato incentivando l’economia circolare di tali prodotti a beneficio dell’ambiente e delle risorse non riproducibili. I vari bonus edificatori ottenibili con l’utilizzo dei materiali di recupero sono indicati nell’allegato A della legge in commento.
Lettera g) prima casa di abitazione
La definizione di ‘prima casa di abitazione’ è essenziale per poter usufruire dei benefici previsti dalla legge regionale “Veneto 2050” nelle zone agricole. In tali zone, così come disposto dall’articolo 8 della legge regionale n. 14/2019, sono consentiti gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 esclusivamente per la prima casa di abitazione e relative pertinenze. Per “prima casa di abitazione” la legge regionale comprende le unità immobiliari residenziali, in proprietà, usufrutto od altro diritto reale, in cui l’avente titolo o i suoi familiari, riferiti al solo coniuge e ai parenti fino al terzo grado in linea retta, risiedono stabilmente o si obbligano a stabilire la propria residenza. La definizione di prima casa di abitazione risulta rilevante anche al fine di poter ottenere la riduzione sul costo di costruzione indicata all’articolo 10. Alla definizione di prima casa è altresì connesso l’obbligo di mantenere la residenza per almeno cinque anni successivi alla data dell’agibilità dell’edificio. La violazione di tale disposizione di legge, consente al Comune di richiedere, oltre al pagamento del contributo di costruzione interamente calcolato, anche il versamento di una sanzione pari al 200 per cento dell’intero contributo di costruzione dovuto (articolo 10, commi 3 e 4).
Lettera h) ambiti di urbanizzazione consolidata
La definizione degli ‘ambiti di urbanizzazione consolidata’, di seguito AUC, rimanda direttamente a quanto stabilito dalla lettera e) del comma 1, dell’articolo 2 della legge regionale n. 14/2017. La quasi totalità dei Comuni ha già provveduto, con specifici provvedimenti, ad individuare tali ambiti territoriali in attuazione dell’articolo 13, comma 9 della legge regionale n. 14/2017. Tali Comuni, in sede di adeguamento dello strumento urbanistico generale di cui al comma 10 del citato articolo 13, sono poi tenuti a confermare o rettificare detti ambiti. Allo scopo di rendere maggiormente uniforme l’individuazione degli AUC in sede di redazione della variante di adeguamento, dopo la prima fase che ha evidenziato una eterogenea attuazione del disposto della legge sul contenimento del consumo di suolo, con l’Allegato B “Analisi, valutazioni e determinazione della quantità massima di consumo di suolo” della DGR n. 668 del 15 maggio 2018 sono state fornite ai Comuni indicazioni volte a specificare ulteriormente la definizione di Ambiti di Urbanizzazione Consolidata, cui si rinvia per eventuali approfondimenti.
Lettera i) prestazione energetica dell’edificio
La definizione, circa la prestazione energetica dell’edificio, rimanda alle disposizioni del decreto ministeriale 26 maggio 2015 “Adeguamento del decreto del Ministro dello Sviluppo economico, 26 giugno 2009 – Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”, che ha tra le finalità principali quella di favorire un’applicazione coerente ed omogenea su tutto il territorio nazionale della prestazione energetica degli edifici. L’applicazione di quanto previsto da tale provvedimento è condizione per poter accedere alle premialità di cui agli articoli 6 e 7 della legge regionale n. 14/2019.
Art. 3 Ambito di applicazione.
1. Gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 si applicano agli edifici con qualsiasi destinazione d’uso negli ambiti di urbanizzazione consolidata, nonché nelle zone agricole nei limiti e con le modalità previsti dall’articolo 8.
2. Gli interventi di cui al comma 1 sono subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggiore carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie.
3. Nel caso di edifici che sorgono su aree demaniali o vincolate ad uso pubblico, gli interventi di cui alla presente legge sono subordinati allo specifico assenso dell’ente tutore del vincolo.
4. Gli interventi di cui al comma 1 non trovano applicazione per gli edifici:
a) vincolati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Nel caso di immobili oggetto di vincolo indiretto, ai sensi dell’articolo 45 del citato decreto legislativo, gli interventi sono consentiti unicamente laddove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta disposte dall’autorità competente in sede di definizione o revisione del vincolo medesimo;
b) oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti;
c) aventi destinazione commerciale, qualora siano volti ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di commercio, in particolare con riferimento alla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella regione del Veneto”;
d) anche parzialmente abusivi;
e) ricadenti all’interno dei centri storici ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”, salvo che per gli edifici che risultino privi di grado di protezione, ovvero con grado di protezione di demolizione e ricostruzione, di ristrutturazione o sostituzione edilizia, di ricomposizione volumetrica o urbanistica, anche se soggetti a piano urbanistico attuativo; in tali casi devono comunque essere rispettati i limiti massimi previsti dal n. 1), del primo comma, dell’articolo 8, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968;
f) ricadenti nelle aree con vincoli di inedificabilità di cui all’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, o dichiarate inedificabili per sentenza o provvedimento amministrativo;
g) ricadenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico di cui al decreto legge 11 giugno 1998, n. 180 “Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania”, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, nelle quali non è consentita l’edificazione ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 9;
h) che abbiano già usufruito delle premialità di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modifiche ed integrazioni, salvo che per la parte consentita e non realizzata ai sensi della predetta legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 e comunque nel rispetto di quanto previsto dalla presente legge.
Comma 1
Tale comma detta la regola generale secondo cui gli interventi di cui agli articoli 6 e 7, si applicano agli edifici con qualsiasi destinazione d’uso nelle aree di urbanizzazione consolidata – come definite all’articolo 2, comma 4, lettera h), nonché nelle zone agricole con le modalità stabilite dall’articolo 8, al cui commento, per brevità, si rimanda.
Comma 2
La norma subordina la realizzazione dei suddetti interventi all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero “al loro adeguamento in ragione del maggiore carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie”. Premesso che le opere di urbanizzazione primaria sono elencate al comma 7 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato), l’espressione “esistenza delle opere di urbanizzazione”, come peraltro rilevato dalla giurisprudenza, va intesa nel significato di adeguatezza delle opere medesime ai bisogni collettivi. Di conseguenza, la valutazione sulla congruità del grado di urbanizzazione di un’area va effettuata sugli standard urbanistici vigenti al momento dell’istanza edificatoria che dovranno essere almeno pari alle quantità minime prescritte. (tra le altre si veda TAR Veneto, Sez. II, 14 febbraio 2012, n. 234; Cass. Pen., Sez. III, n. 38795 del 24 settembre 2015).
Comma 3
La disposizione del comma 3 consente l’applicazione degli interventi di cui agli articoli 6 e 7, anche agli edifici che sorgono nelle aree demaniali o sulle quali vi sia un vincolo ad uso pubblico, purché in presenza di uno specifico provvedimento di assenso emanato dall’Ente tutore del vincolo. Tali edifici godono potenzialmente delle possibilità ampliative e sono sottoposti alle medesime condizioni previste dalla legge in esame per il patrimonio edilizio rientrante nel suo ambito di applicazione. Tuttavia, affinché ad essi possano concretamente applicarsi le disposizioni di “Veneto 2050”, il concessionario o il proprietario dovrà ottenere il previo assenso dell’ente tutore.
Comma 4
Il comma elenca le fattispecie per le quali non possono essere realizzati né gli interventi di ampliamento (articolo 6), né gli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio tramite integrale demolizione e successiva ricostruzione (articolo 7). Più precisamente:
Lettera a)
esclude dall’applicazione degli articoli 6 e 7, gli edifici tutelati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo n. 42/2004, (c.d. vincolo monumentale) ovverosia tutti quegli edifici sottoposti a vincolo diretto per i quali sia stato emanato apposito provvedimento di notifica e tutela, al proprietario, per la manifesta presenza di un interesse culturale da preservare. Per quanto concerne il vincolo indiretto gli interventi sono consentiti ove le specifiche prescrizioni emanate dall’Ente preposto alla tutela, consentano o meno tali tipologie di interventi edilizi. Va precisato che l’esclusione non riguarda i beni paesaggistici di cui alla parte terza del decreto legislativo n. 42/2004, per i quali comunque occorre acquisire la necessaria autorizzazione paesaggistica.
Lettera b)
esclude dall’ambito applicativo della norma gli edifici oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti. Ove, quindi, specifiche norme di pianificazione urbanistica e territoriale non consentano, in particolare, ampliamenti o demolizioni e successive ricostruzioni, tali interventi non potranno essere assentiti. Sono annoverate tra le specifiche norme di tutela anche i cd. “gradi di protezione” imposti dagli strumenti di pianificazione sugli edifici di pregio architettonico o di valore storico-testimoniale, le disposizioni relative alle tipologie costruttive, la disciplina relativa alle destinazioni d’uso nonché le norme puntuali contenute nelle schede d’intervento relative ai singoli edifici.
Lettera c)
non consente l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici aventi destinazione commerciale, “qualora siano volti ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di commercio, in particolare con riferimento alla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50”. La norma, quindi, introduce per gli edifici aventi destinazione commerciale, un divieto relativo, impedendo, infatti, i soli interventi volti ad eludere o derogare le disposizioni di cui alla legge regionale n. 50/2012.
Lettera d)
riprendendo la disposizione dell’articolo 9, comma 1, lettera e) della legge regionale n. 14/2009, esclude dall’applicazione della norma gli edifici “anche parzialmente abusivi”. Il legislatore regionale, ha chiaramente dimostrato la volontà di escludere ogni possibilità di utilizzare “Veneto 2050” nell’ipotesi di edifici abusivi anche solo parzialmente; conseguentemente laddove sussista l’abuso, anche parziale, non può essere mai invocata l’applicazione della legge in esame, nemmeno per la parte legittimamente assentita.
Lettera e)
esclude dall’ambito di applicazione gli edifici situati nei centri storici ad eccezione degli edifici privi di grado di protezione, o con grado di protezione che consenta demolizione e ricostruzione, ristrutturazione o sostituzione edilizia, ricomposizione volumetrica o urbanistica. Per grado di protezione deve intendersi sia quello disposto a seguito di normativa statale o regionale che quello disposto dagli strumenti urbanistici vigenti. In relazione al concetto di centro storico, sono considerati tali quelle porzioni di territorio che risultino propriamente classificate “centro storico” o “ZTO A” dagli atti di pianificazione comunale. Si sottolinea che non limita né impedisce l’applicazione della legge la sola inclusione dell’edificio all’interno dell’ambito di un piano urbanistico attuativo (per esempio Piano Particolareggiato o Piano di Recupero) in assenza di specifico grado di protezione, o la previsione dello strumento urbanistico comunale che subordina ogni intervento sull’edificio alla preventiva approvazione di PUA. Devono comunque essere rispettati i limiti massimi previsti dal n. 1), del primo comma, dell’articolo 8, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968.
Lettera f)
esclude dagli interventi di cui agli articoli 6 e 7 gli edifici ricadenti nelle aree con vincoli di inedificabilità di cui all’articolo 33 della legge n. 47/1985 o dichiarate inedificabili per sentenza o provvedimento amministrativo. La circolare esplicativa n. 1/2014, il cui commento di analoga disposizione contenuta nella legge regionale n. 14/2009 viene qui riproposto, precisava che l’esclusione riguardava anche le costruzioni ubicate nelle zone di protezione delle strade di cui al decreto ministeriale 1 aprile 1968, n. 1404 e quelle di rispetto al nastro stradale di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285. Ciò in quanto le fasce di rispetto previste dal Codice della Strada, che comportano l’inedificabilità assoluta dell’area, vanno incluse tra i vincoli assoluti previsti, per l’appunto, dall’articolo 33, lettera d), della legge n. 47/85 (concetto ribadito anche dal Consiglio di Stato, Sez. II, 31 gennaio 2020, n. 815). A sostegno di questa lettura, peraltro in sintonia con la ratio della legge regionale in esame, concorre altresì il fatto che una delle finalità delle norme statali citate è proprio quella di lasciare dette fasce libere da qualsiasi edificazione e, pertanto, anche dall’edificazione che viene aggiunta a quella già esistente.
Lettera g)
esclude l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici ricadenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 9 (che consentono per tali ipotesi la possibilità di demolire e ricostruire altrove gli edifici). L’esclusione dall’ambito di applicazione opera quindi solo con riferimento agli edifici ricadenti nelle aree dichiarate dall’Autorità di Bacino di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata o elevata, ma non operano nelle altre aree di moderata o media pericolosità (P1 e P2) con riferimento alle quali è invece consentita l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 6 e 7 come chiarito dal comma 6 dell’articolo 9 al cui commento, per brevità, si rimanda.
Lettera h)
esclude dall’applicazione degli articoli 6 e 7 gli edifici che abbiano già usufruito delle premialità di cui alla legge regionale n. 14/2009, salvo che per la parte consentita e non realizzata ai sensi della predetta legge regionale n. 14/2009 e comunque nel rispetto di quanto previsto dalla legge in rassegna. In sintesi, gli edifici che, in vigenza del c.d. Piano Casa abbiano già usufruito per intero del massimo dei benefici volumetrici o di superficie allora concessi, non possono fruire di ulteriori benefici derivanti da “Veneto 2050” mentre, per converso, ove abbiano utilizzato solo in parte i bonus volumetrici o di superficie consentiti dall’allora Piano Casa, potranno avvalersi delle previsioni di “Veneto 2050”.
TITOLO II – Misure per promuovere la rinaturalizzazione del suolo
Art. 4 – Crediti edilizi da rinaturalizzazione.
1. Entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, con il provvedimento di cui alla lettera d), del comma 2, dell’articolo 4, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, detta una specifica disciplina per i crediti edilizi da rinaturalizzazione, prevedendo in particolare:
a) i criteri attuativi e le modalità operative da osservarsi per attribuire agli interventi demolitori, in relazione alla specificità del manufatto interessato, crediti edilizi da rinaturalizzazione, espressi in termini di volumetria o superficie, eventualmente differenziabili in relazione alle possibili destinazioni d’uso;
b) le modalità applicative e i termini da osservarsi per l’iscrizione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione in apposita sezione del Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi (RECRED) di cui alla lettera e), del comma 5, dell’articolo 17, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, nonché le modalità e i termini per la cancellazione;
c) le modalità per accertare il completamento dell’intervento demolitorio e la rinaturalizzazione;
d) i criteri operativi da osservare da parte dei comuni per la cessione sul mercato di crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali, secondo quanto previsto dall’articolo 5.
2. Entro dodici mesi dall’adozione del provvedimento della Giunta regionale di cui al comma 1, e successivamente con cadenza annuale, i comuni approvano, con la procedura di cui ai commi da 2 a 6 dell’articolo 18, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 oppure, per i comuni non dotati di piani di assetto del territorio (PAT), con la procedura di cui ai commi 6, 7 e 8, dell’articolo 50, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio”, una variante al proprio strumento urbanistico finalizzata:
a) all’individuazione dei manufatti incongrui la cui demolizione sia di interesse pubblico, tenendo in considerazione il valore derivante alla comunità e al paesaggio dall’eliminazione dell’elemento detrattore, e attribuendo crediti edilizi da rinaturalizzazione sulla base dei seguenti parametri:
b) alla definizione delle condizioni cui eventualmente subordinare gli interventi demolitori del singolo manufatto e gli interventi necessari per la rimozione dell’impermeabilizzazione del suolo e per la sua rinaturalizzazione;
- localizzazione, consistenza volumetrica o di superficie e destinazione d’uso del manufatto esistente;
- costi di demolizione e di eventuale bonifica, nonché di rinaturalizzazione;
- differenziazione del credito in funzione delle specifiche destinazioni d’uso e delle tipologie di aree o zone di successivo utilizzo;
c) all’individuazione delle eventuali aree riservate all’utilizzazione di crediti edilizi da rinaturalizzazione, ovvero delle aree nelle quali sono previsti indici di edificabilità differenziata in funzione del loro utilizzo.
3. Ai fini dell’individuazione dei manufatti incongrui di cui alla lettera a), del comma 2, i comuni pubblicano un avviso con il quale invitano gli aventi titolo a presentare, entro i successivi sessanta giorni, la richiesta di classificazione di manufatti incongrui. Alla richiesta va allegata una relazione che identifichi i beni per ubicazione, descrizione catastale e condizione attuale, con la quantificazione del volume o della superficie esistente, lo stato di proprietà secondo i registri immobiliari, nonché eventuali studi di fattibilità di interventi edificatori finalizzati all’utilizzo di crediti edilizi da rinaturalizzazione.
4. Salvi eventuali limiti più restrittivi fissati dai comuni, sui manufatti incongrui, individuati dalla variante allo strumento urbanistico di cui al comma 2, sono consentiti esclusivamente gli interventi previsti dalle lettere a) e b) del comma 1, dell’articolo 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.
5. I crediti edilizi da rinaturalizzazione sono liberamente commerciabili ai sensi dell’articolo 2643, comma 2 bis, del codice civile.
6. Per quanto non diversamente disposto, si applica l’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.
7. I comuni non dotati di PAT istituiscono il RECRED, entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, garantendo adeguate forme di pubblicità. Fino all’istituzione del RECRED non possono essere adottate varianti al piano regolatore generale, ad eccezione di quelle che si rendono necessarie per l’adeguamento obbligatorio a disposizioni di legge.
8. I comuni dotati di PAT che ancora non hanno provveduto all’istituzione del RECRED, e fino alla sua istituzione, non possono adottare varianti al piano degli interventi (PI) di cui all’articolo 17, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, ad eccezione di quelle che si rendono necessarie per l’adeguamento obbligatorio a disposizioni di legge.
L’articolo 4 contiene disposizioni per l’operatività dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, demandando, al comma 1, la definizione più specifica della relativa disciplina ad un successivo provvedimento della Giunta regionale, assunto, come già anticipato, con deliberazione n. 263 del 2 marzo 2020 che reca le “Regole e misure applicative ed organizzative per la determinazione, registrazione e circolazione dei crediti edilizi. Articolo 4, comma 2, lettera d) della legge regionale n. 14/2017 e articolo 4, comma 1 della legge regionale n. 14/2019”. Per il commento dell’articolo in esame si rimanda, pertanto, ai contenuti del predetto atto di indirizzo. In questa sede, ci si limita a ricordare che i commi 7 e 8 dell’articolo introducono un divieto di adottare varianti allo strumento urbanistico generale (piano regolatore generale, per i comuni non dotati di PAT di cui al comma 7; piano degli interventi per gli altri comuni di cui al comma 8) per gli Enti comunali che non abbiano ancora provveduto all’istituzione del RECRED. Dal predetto divieto sono escluse le sole varianti “che si rendono necessarie per l’adeguamento obbligatorio a disposizioni di legge”.
Art. 5 Disposizioni per gli immobili pubblici.
1. Gli immobili appartenenti ai comuni o ad altri enti pubblici possono generare crediti edilizi da rinaturalizzazione, anche in deroga ai criteri generali di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 4; tali crediti sono destinati prioritariamente alla realizzazione degli interventi di ampliamento di cui all’articolo 6.
2. I comuni possono concludere accordi o intese con gli enti pubblici proprietari di edifici degradati per addivenire alla loro demolizione e alla rinaturalizzazione dell’area, riconoscendo agli enti proprietari adeguati crediti edilizi da rinaturalizzazione.
3. Le somme introitate, in apposito fondo comunale, a seguito della cessione nel mercato dei crediti edilizi generati da immobili di cui al comma 1, sono destinate prioritariamente ad interventi di demolizione di altri manufatti incongrui.
L’articolo 5 è strettamente collegato alla disposizione della lettera d) del comma 1 dell’articolo 4 che annovera tra i contenuti dell’atto di indirizzo approvato dalla Giunta regionale i “criteri operativi da osservare da parte dei comuni per la cessione sulmercato di crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali”. Per tale ragione, anche per il commento a tale norma si rimanda al provvedimento approvato con deliberazione n. 263 del 2 marzo 2020 (per la precisione, alla parte seconda, capitolo 6 del citato provvedimento).
TITOLO III Riqualificazione del patrimonio edilizio esistente
Art. 6 Interventi edilizi di ampliamento.
1. È consentito l’ampliamento degli edifici edifici caratterizzati, alla data di entrata in vigore della presente legge, dalla presenza delle strutture portanti e dalla copertura, nei limiti del 15 per cento del volume o della superficie, in presenza delle seguenti condizioni:
a) che le caratteristiche costruttive siano tali da garantire la prestazione energetica, relativamente ai soli locali soggetti alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia”, almeno in classe A1 della parte ampliata;
b) che vengano utilizzate tecnologie che prevedono l’uso di fonti energetiche rinnovabili, secondo quanto previsto dall’Allegato 3 del decreto legislativo n. 28 del 2011.
2. L’ampliamento può essere realizzato in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto. Sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea propria; nel caso di edificio la cui destinazione d’uso sia definita in modo specifico dallo strumento urbanistico, la parte ampliata deve mantenere la stessa destinazione d’uso dell’edificio che ha generato l’ampliamento.
3. La percentuale di cui al comma 1 è elevata fino ad un ulteriore 25 per cento con le modalità stabilite dall’allegato A, in funzione della presenza di uno o più dei seguenti elementi di riqualificazione dell’edificio e della sua destinazione d’uso residenziale o non residenziale:
a) eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 7, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”;
b) prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4;
c) messa in sicurezza sismica dell’intero edificio;
d) utilizzo di materiali di recupero;
e) utilizzo di coperture a verde;
f) realizzazione di pareti ventilate;
g) isolamento acustico;
h) adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana;
i) rimozione e smaltimento di elementi in cemento amianto;
l) utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento;
m) utilizzo di tecnologie che prevedono l’uso di fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 kW.
4. Le percentuali di cui ai commi 1 e 3 non possono comportare complessivamente un aumento superiore al 40 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
5. Per promuovere l’efficientamento energetico, fino al 31 dicembre 2021, gli interventi di cui al presente articolo che garantiscono la prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4, possono usufruire di un ulteriore incremento del 10 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente; in tale caso è conseguentemente incrementata la percentuale in aumento prevista al comma 4.
6. Le percentuali di cui ai commi 1 e 3 possono essere elevate fino al 60 per cento in caso di utilizzo, parziale od esclusivo, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
7. Nei limiti dell’ampliamento di cui ai commi 1, 3, 4, 5 e 6 è da computare l’eventuale recupero dei sottotetti esistenti aventi le caratteristiche di cui alle lettere a) e b), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 aprile 1999, n. 12 “Recupero dei sottotetti esistenti a fini abitativi”, con esclusione dei sottotetti esistenti oggetto di contenzioso in qualsiasi stato e grado del procedimento.
8. In caso di edifici composti da più unità immobiliari l’ampliamento può essere realizzato anche separatamente per ciascuna di esse, compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio negli edifici, fermo restando il limite complessivo stabilito ai commi 1, 3, 4, 5 e 6. In ipotesi di case a schiera l’ampliamento è ammesso qualora venga realizzato in maniera uniforme con le stesse modalità su tutte le case appartenenti alla schiera.
9. Qualora l’ampliamento sia realizzato a favore delle attività produttive di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, e sia superiore al 20 per cento della superficie esistente, o comunque superiore a 1.500 metri quadri, trova applicazione il Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante”.
Comma 1
La norma consente di ampliare qualsiasi edificio esistente alla data di entrata in vigore di “Veneto 2050”, ovverosia al 6 aprile 2019, limitandosi a chiedere, per tale ampliamento, la presenza delle strutture portanti (muri perimetrali) e della copertura. L’ampliamento è concesso sino ad un massimo del 15 per cento del volume o della superficie esistente e per poter essere realizzato deve contestualmente soddisfare due condizioni, entrambe finalizzate all’efficientamento energetico ed alla sostenibilità ambientale dell’intervento. Va peraltro precisato che l’intervento di ampliamento in questione è presupposto indispensabile per poter accedere agli ulteriori benefici previsti dai commi del presente articolo che potranno quindi sommarsi ad esso. Con riferimento alle condizioni, per accedere a tale ampliamento, la prima è stabilita dalla lettera a): secondo quanto si evince dalla norma, va riferita ai soli locali che rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni statali sul rendimento energetico di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 e relativi provvedimenti attuativi. Di conseguenza, la richiesta di efficientamento non può essere estesa a manufatti e locali per i quali la normativa statale non prevede un obbligo di contenimento dei consumi energetici né prevede il rilascio dell’attestato di prestazione energetica (a titolo esemplificativo, box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi). La seconda condizione da rispettare è disciplinata dalla lettera b) che dispone l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, secondo quanto previsto dall’Allegato 3 del decreto legislativo n. 28 del 2011. Sul punto pare utile ricordare che la finalità della norma regionale è quella di favorire interventi che puntino alla sostenibilità ed all’efficienza ambientale attraverso l’utilizzo delle fonti rinnovabili; di conseguenza, tale condizione si ritiene assolta indipendentemente dal fatto che gli impianti di energia da fonti rinnovabili siano installati sulla parte ampliata o sull’edificio esistente che genera l’ampliamento.
Comma 2
Le modalità con le quali è possibile realizzare l’ampliamento, sono tre, ovvero che rispetto all’edificio esistente, lo stesso venga realizzato in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto. Tali modalità esecutive, devono essere intese secondo una logica di continuità edilizia ed architettonica volte a valorizzare il nuovo edificio che si andrà a realizzare, nel rispetto delle tipologie costruttive, dei materiali utilizzati, dei valori storico architettonici se presenti, del contesto nel quale si situa l’edificio, nonché di ogni altra valutazione e analisi che il professionista incaricato riterrà opportuno predisporre in un’ottica generale che punti, da un lato al raggiungimento di una riqualificazione edilizia dell’edificio esistente comprensivo della parte ampliata, dall’altro ad un miglioramento della qualità architettonica e paesaggistica nel loro insieme. Ipotesi progettuali che prevedano ad esempio, la realizzazione di inusuali e irragionevoli portici di collegamento tra l’edificio esistente e la parte ampliata, volti ad un’applicazione non in linea con il concetto di aderenza, sono da considerarsi non rispondenti alla ratio della norma. Qualora all’interno del lotto nel quale vi sia l’edificio che genera l’ampliamento, sia già presente un altro edificio, quest’ultimo potrà essere oggetto di ampliamento, sia in aderenza che in sopraelevazione, in linea con gli stessi criteri sopra enunciati, così come, viceversa, si ritiene coerente che all’edificio che genera l’ampliamento si possa sommare il volume o la superficie derivanti dall’edificio già esistente all’interno dello stesso lotto. Sia l’edificio che genera l’ampliamento, che l’ampliamento da questi generato, devono insistere in zona territoriale omogenea propria. Per “zona territoriale omogenea propria” deve intendersi sia la zona territoriale omogenea secondo la definizione tradizionale riconducibile al noto decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 che le zone di territorio aventi analoga destinazione e analoghe caratteristiche insediative. Ciò significa che gli ampliamenti possono essere realizzati in zone di completamento edilizio con riferimento a fabbricati in zona di espansione e viceversa, aventi analoga destinazione d’uso (residenziale), mentre non possono avvenire contaminazioni, per esempio, tra zone di completamento o di espansione residenziale e zone agricole o zone produttive; ugualmente, attese le caratteristiche specifiche del centro storico, non vi possono essere eseguiti ampliamenti di fabbricati edificati in zone di completamento o di espansione. L’ultimo periodo del comma 2 dispone infine che, qualora per l’edificio che genera l’ampliamento, la strumentazione urbanistica comunale individui una specifica destinazione d’uso, anche la parte che verrà ampliata, deve mantenere la stessa destinazione d’uso dell’edificio che ha generato l’ampliamento. A solo titolo di esempio, se l’edificio che genera l’ampliamento ha una destinazione ricettiva, anche la parte ampliata dovrà mantenere tale destinazione d’uso.
Comma 3
La norma consente, in aggiunta a quanto già usufruito al comma 1, di ottenere ulteriori ampliamenti, sempre con riferimento alla volumetria o superficie dell’edificio esistente generatore dell’ampliamento, sino ad un ulteriore 25 per cento ottenibile utilizzando una o più modalità di riqualificazione di cui all’Allegato A della legge regionale n. 14/2019 suddivise in base alla destinazione d’uso residenziale o non residenziale. Per ogni ulteriore approfondimento circa le premialità, si rimanda agli specifici chiarimenti tecnici di cui all’allegato 1 del presente provvedimento, riguardanti nell’ordine: a) eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 7, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”; b) prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4; c) messa in sicurezza sismica dell’intero edificio; d) utilizzo di materiali di recupero; e) utilizzo di coperture a verde; f) realizzazione di pareti ventilate; g) isolamento acustico; h) adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana; i) rimozione e smaltimento di elementi in cemento amianto; l) utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento; m) utilizzo di tecnologie che prevedono l’uso di fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 kW.
Comma 4
Il testo di legge in esame, sottolinea che il limite massimo di ampliamento ottenibile in applicazione rispettivamente dei commi 1 (fino al 15 per cento che, ricordiamo, è propedeutico alle premialità dei commi successivi) e 3 (fino al 25 per cento) non può superare la soglia del 40 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente. Pertanto, applicando i benefici previsti dal comma 1 e sommandoli con una o più premialità previste dal comma 3, in ogni caso, non si potrà superare il 40 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
Comma 5
Il legislatore regionale, al fine di dare un ulteriore incentivo volto alla riqualificazione ed all’efficientamento energetico degli edifici, promuove sino al 31 dicembre 2021 un altro incentivo del 10 per cento, portando così temporaneamente l’ampliamento massimo previsto dal comma 4, sino al 50 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente, purché l’insieme degli interventi consentano all’intero edificio (esistente più la parte ampliata) di acquisire la classe energetica A4.
Comma 6
La norma incentiva l’uso dei Crediti Edilizi da Rinaturalizzazione (CER) elevando le premialità dei commi 1 e 3 fino ad un massimo del 60 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente mediante utilizzo parziale oppure esclusivo CER. Più precisamente, per utilizzo “parziale” dei CER si intende l’ipotesi in cui si potrà raggiungere il 60 per cento del volume o della superficie esistente aggiungendo, alla percentuale massima del 40 per cento ottenibile con l’applicazione dei commi 1 e 3, un ulteriore 20 per cento di CER; mentre, per quanto riguarda l’utilizzo “esclusivo”, tale ipotesi consente di ottenere l’ampliamento massimo del 60 per cento tramite CER solo dopo aver eseguito gli interventi di cui al comma 1. Relativamente alle regole e alle misure applicative circa la determinazione, registrazione e circolazione dei CER, si rimanda integralmente ai contenuti della più volte citata DGR n. 263 del 2 marzo 2020.
Comma 7
Tra le modalità con le quali è concesso realizzare un ampliamento, il comma 7 annovera anche il recupero dei sottotetti esistenti al 6 aprile 2019. I limiti percentuali di ampliamento così sfruttabili, sono quelli previsti dai commi 1, 3, 4, 5 e 6. Tali locali, devono possedere le caratteristiche di cui alle lettere a) e b), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 aprile 1999, n. 12 ovverossia un’altezza utile media di 2,40 metri per i locali adibiti ad abitazione, 2,20 metri per i Comuni inseriti negli ambiti delle Comunità montane ai sensi delle leggi regionali vigenti e di 2,20 metri per i locali adibiti a servizi, quali corridoi, disimpegni, ripostigli e bagni. L’altezza utile media sarà calcolata dividendo il volume utile della parte del sottotetto la cui altezza superi 1,80 metri ridotto a 1,60 metri per i comuni montani, per la relativa superficie utile; il rapporto illuminante, se in falda, deve essere pari o superiore a 1/16. Tale modalità di ampliamento, andrà a consumare, in tutto o in parte, l’ampliamento consentito. Sono esclusi dall’applicazione di tale premialità, i sottotetti che siano oggetto di contenzioso in qualsiasi stato e grado del procedimento. A titolo di precisazione, si evidenzia che la richiamata legge regionale n. 12/1999 è stata abrogata dalla legge regionale 23 dicembre 2019, n. 51 che, contestualmente, ha disposto, all’articolo 5, comma 2, che il rinvio da parte del comma 7 all’abrogata legge regionale n. 12/1999 debba oggi intendersi riferito all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), della legge regionale. n. 51/2019, e, quindi, ai soli parametri afferenti alle altezze medie e al rapporto illuminante. Per converso, i restanti parametri contenuti nell’articolo 2, comma 1, lettere c), d) ed e) della citata legge regionale n. 51 che si riferiscono al raggiungimento delle prestazioni energetiche di cui al decreto legislativo n. 192/2005, al divieto di aumento delle unità abitative, di modifica della sagoma, delle altezze di colmo e di gronda e delle pendenze delle falde, non trovano applicazione.
Comma 8
Il comma in esame consente l’ampliamento pure agli edifici composti da più unità immobiliari. L’ampliamento può avvenire anche separatamente per ciascuna di esse fermo restando il limite complessivo previsto dai commi 1, 3, 4, 5 e 6 e nel rispetto delle norme che disciplinano il condominio negli edifici. Relativamente agli edifici tipologicamente ascrivibili alle case a schiera, la norma prevede l’obbligo di estendere il progetto all’intero complesso edilizio, preservandone l’armonia architettonica e formale: ciò può avvenire mediante presentazione di un’unica istanza edilizia comune da parte di tutti i proprietari. Va specificato che la norma è finalizzata a garantire la conservazione dei caratteri architettonici del complesso e che il requisito dell’uniformità va quindi inteso come coerenza delle forme architettoniche.
Comma 9
La norma consente anche alle attività produttive di beneficiare delle premialità previste dall’articolo 6, con un preciso limite. Infatti nel caso in cui la percentuale di ampliamento superi il 20 per cento della superficie esistente, o comunque sia superiore a 1.500 metri quadri, trova applicazione il Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55. Appare a tale scopo utile precisare che per attività produttive, sono da considerarsi, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 160/2010 tutte le attività di produzione di beni e servizi, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni. Per quanto riguarda le attività produttive in zona agricola, anch’esse ricadenti nell’ambito del decreto del Presidente della Repubblica n. 160/2010, si rammenta che la legge regionale n. 14/2019 consente interventi solamente sulla prima casa di abitazione e relative pertinenze; a tal proposito, si rinvia al commento di cui all’articolo 8.
Art. 7 Interventi di riqualificazione del tessuto edilizio.
1. Sono consentiti interventi di riqualificazione, sostituzione, rinnovamento e densificazione del patrimonio edilizio esistente alla data di entrata in vigore della presente legge, mediante integrale demolizione e ricostruzione degli edifici che necessitano di essere adeguati agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza, nonché a tutela delle disabilità, con incremento fino al 25 per cento del volume o della superficie esistente in presenza delle seguenti condizioni:
a) che per la ricostruzione vengano utilizzate tecniche costruttive che consentano di certificare la prestazione energetica dell’edificio almeno alla corrispondente classe A1;
b) che vengano utilizzate tecnologie che prevedono l’uso di fonti di energia rinnovabile con una potenza incrementata di almeno il 10 per cento rispetto al valore obbligatorio ai sensi dell’Allegato 3 del decreto legislativo n. 28 del 2011.
2. La percentuale di cui al comma 1 è elevata fino a un ulteriore 35 per cento, con le modalità stabilite dall’allegato A, in funzione della presenza di uno o più dei seguenti elementi di riqualificazione dell’edificio e della sua destinazione d’uso residenziale o non residenziale:
a) eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 7, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16;
b) prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4;
c) utilizzo di materiali di recupero;
d) utilizzo di coperture a verde;
e) realizzazione di pareti ventilate;
f) isolamento acustico;
g) adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana;
h) utilizzo del BIM (Building Information Modeling) e/o del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento;
i) rimozione e smaltimento di elementi in cemento amianto.
3. Le percentuali di cui ai commi 1 e 2 non possono comportare complessivamente un aumento superiore al 60 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
4. Per promuovere l’efficientamento energetico, fino al 31 dicembre 2021, gli interventi di cui al presente articolo che garantiscono la prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4, possono usufruire di un ulteriore incremento del 20 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente; in tale caso è conseguentemente incrementata la percentuale in aumento prevista al comma 3.
5. Le percentuali di cui ai commi 1 e 2 possono essere elevate fino al 100 per cento in caso di utilizzo, parziale od esclusivo, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
6. Trascorsi quattro mesi dalla scadenza del termine ultimo previsto per l’approvazione della variante urbanistica di cui al comma 2, dell’articolo 4, la percentuale di cui al comma 1 è ridotta al 15 per cento qualora non sia utilizzato credito edilizio da rinaturalizzazione nella misura almeno del 10 per cento, laddove esistente. Sono fatti salvi i procedimenti in corso per i quali, alla medesima data, siano già state presentate la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire.
7. Gli interventi di cui al presente articolo sono consentiti purché gli edifici siano situati in zona territoriale omogenea propria. Qualora l’edificio da demolire si trovi in zona impropria, purché diversa dalla zona agricola, il comune può autorizzare il cambio di destinazione d’uso per l’edificio ricostruito, a condizione che la nuova destinazione sia consentita dalla disciplina edilizia di zona.
Comma 1
La norma prevede la concessione di specifici incentivi, quantificabili sino ad un massimo del 25 per cento del volume o della superficie, per tutti gli edifici esistenti alla data del 6 aprile 2019, per i quali siano previsti interventi volti ad una loro riqualificazione complessiva. Per ottenere tali benefici, è necessario che vi sia l’integrale demolizione dei manufatti esistenti e che la ricostruzione dei nuovi risponda a precisi standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza, nonché a tutela della disabilità. L’incremento previsto fino al 25 per cento del volume o della superficie esistente di cui al presente comma è da considerarsi obbligatorio prima di poter accedere agli ulteriori benefici previsti dai commi successivi e può essere ottenuto solo se vengono soddisfatte entrambe le condizioni indicate dalla norma, cioè l’utilizzo di specifiche tecniche costruttive che consentano di certificare una prestazione energetica almeno corrispondente alla classe energetica A1 di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 e l’installazione di sistemi per la produzione di energia rinnovabile, in misura superiore di almeno il 10 per cento rispetto a quanto previsto obbligatoriamente per legge dall’Allegato 3 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.
Comma 2
Il secondo comma offre la possibilità di elevare ulteriormente il volume o la superficie esistente sino ad un massimo del 35 per cento, così portando le premialità complessive dei commi 1 e 2 fino al limite del 60 per cento; il beneficio del comma 2 è ottenibile solo se vengono realizzati uno o più degli interventi previsti dall’allegato A della legge regionale, come meglio specificati nell’allegato 1 alla presente circolare, in base alle caratteristiche della riqualificazione che si andrà ad attuare tra le seguenti: a) eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16; b) prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4; c) utilizzo di materiali di recupero; d) utilizzo di coperture a verde; e) realizzazione di pareti ventilate; f) isolamento acustico; g) adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana; h) utilizzo del BIM (Building Information Modeling) e/o del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento; i) rimozione e smaltimento di elementi in cemento amianto.
Comma 3
Il terzo comma ribadisce che il massimo incremento ottenibile dall’utilizzo concomitante delle premialità previste dal comma 1, unitamente a quelle previste dal comma 3, non può superare il 60 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
Comma 4
Il comma prevede un incentivo del 20 per cento, ottenibile fino al 31 dicembre 2021, allo scopo di promuovere la miglior certificazione energetica dell’edificio corrispondente all’A4, portando così l’incremento massimo previsto dai commi precedenti sino all’80 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
Comma 5
Al pari di quanto già previsto all’articolo 6, anche questo comma ha lo scopo di incentivare l’utilizzo dei CER negli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, elevando le percentuali di cui ai commi 1 e 2 fino ad un massimo del 100 per cento del volume o della superficie esistente; il premio di cubatura è differenziato a seconda che vi sia un utilizzo parziale o esclusivo dei CER. Più precisamente, per utilizzo “parziale” dei CER si intende l’ipotesi in cui la percentuale massima del 60 per cento ottenibile con l’applicazione dei commi 1 e 2 può essere ulteriormente integrata del 40 per cento grazie all’uso dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
Mentre, per quanto riguarda l’utilizzo “esclusivo, si tratta dell’ipotesi in cui la percentuale massima del 25 per cento ottenibile con l’applicazione del solo comma 1 potrà essere ulteriormente aumentata fino a raggiungere il 100 per cento, sempre attraverso l’utilizzo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
Comma 6
La norma intende incentivare l’uso del credito edilizio prevedendo la riduzione della percentuale volumetrica o di superficie disposta dal comma 1 qualora non sia utilizzato il CER entro quattro mesi dalla scadenza del termine previsto per l’approvazione della variante urbanistica di cui all’articolo 4, comma 2. Va precisato che il citato articolo 4, comma 2, rinvia al provvedimento della Giunta regionale sulla disciplina dei crediti edilizi previsto dalla legge regionale n. 14/2019. Tale provvedimento è stato assunto con DGR n. 263 del 2 marzo 2020 “Regole e misure applicative ed organizzative per la determinazione, registrazione e circolazione dei crediti edilizi. Articolo 4, comma 2, lettera d) della legge regionale n. 14/2017 e articolo 4, comma 1, della legge regionale n. 14/2019. Deliberazione/CR n. 132 del 29 novembre 2019”.
A seguito dell’approvazione di tale provvedimento i Comuni, entro i successivi 12 mesi, ovverosia entro il 2 marzo 2021, sono tenuti ad approvare una specifica variante, indispensabile per i privati per poter fruire dei CER con le modalità ed i contenuti indicati nella citata DGR n. 263 del 2 marzo 2020. Secondo la norma in esame, se decorsi ulteriori quattro mesi dalla scadenza dei 12 mesi sopra richiamati, cioè entro il 2 luglio 2021, i CER non vengono utilizzati nella misura di almeno del 10 per cento, ove esistenti, la premialità del 25 per cento del comma 1 è ridotta al 15 per cento. In conclusione, pare evidente che per poter continuare ad usufruire dell’intera premialità del comma 1, vi è la necessità che i Comuni approvino la variante sui crediti edilizi, entro i termini sopra richiamati.
Dalla riduzione di detta premialità sono invece fatti salvi i procedimenti edilizi ‘in itinere’ cioè quei procedimenti per i quali siano state presentate la Scia e il permesso di costruire prima della scadenza dei quattro mesi appena richiamata.
Comma 7
Il settimo comma chiarisce che gli interventi di demolizione e ricostruzione possono essere realizzati purché gli edifici siano situati in zona territoriale omogenea propria.
La verifica circa la compatibilità dell’intervento, rispetto alle previsioni urbanistiche, compete al Comune, al quale è altresì demandata una valutazione complessiva che tenga conto di molteplici fattori quali la presenza di parcheggi, di aree a verde, dell’adeguatezza della rete infrastrutturale e viaria e del rispetto degli standard urbanistici o prevedendone un loro adeguamento, al fine di garantire un corretto inserimento dell’intervento nel tessuto urbano.
Nel caso in cui l’edificio oggetto di intervento di demolizione e ricostruzione sia ubicato in zona impropria, con esclusione delle zone agricole, il Comune può consentire il cambio di destinazione d’uso dell’immobile ricostruito, sempreché tale destinazione sia consentita dalla disciplina edilizia di zona. La finalità della norma mira evidentemente a incentivare una riconversione funzionale di edifici che sono del tutto incompatibili con le previsioni degli strumenti urbanistici comunali, individuando altre possibili soluzioni al fine di consentirne una nuova valorizzazione, passando necessariamente attraverso una loro integrale demolizione.
Art. 8 Interventi in zona agricola.
1. Nelle zone agricole è escluso l’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione e gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono consentiti esclusivamente:
a) per la prima casa di abitazione e relative pertinenze;
b) in aderenza o sopra elevazione;
c) in deroga ai soli parametri edilizi di superficie e volume.
2. Gli interventi di cui al presente articolo sono ammissibili anche in assenza dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo e del piano aziendale di cui all’articolo 44, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.
Comma 1
L’approvazione di uno specifico articolo per le zone agricole che fissa precisi limiti per l’applicazione di “Veneto 2050”, rimarca il particolare valore ambientale, paesaggistico e storico culturale di tali zone, in coerenza con i principi e gli obiettivi della legge regionale n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo.
Si ritiene di specificare che le zone agricole sono quelle non incluse all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata, individuate dagli specifici provvedimenti comunali di cui all’articolo 13 comma 9 della legge regionale n. 14/2017.
Di conseguenza, ai nuclei insediativi in zona agricola di cui alle corrispondenti ZTO E4 e classificazioni assimilabili, facenti parte degli ambiti di urbanizzazione consolidata secondo la definizione dell’articolo 2, comma 1 lettera e) della legge regionale n. 14/2017, non si applicano le limitazioni dell’articolo in esame.
Ciò posto, il comma 1 dispone che nelle zone agricole è vietato l’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione, mentre sono invece consentiti gli interventi e le relative premialità di cui agli articoli 6 e 7 solamente in presenza delle condizioni elencate alle lettere a), b) e c), come di seguito meglio precisate; pare utile evidenziare, inoltre, che secondo quanto previsto dal successivo articolo 11, comma 3, le premialità degli articoli 6 e 7 potranno essere riconosciute purché la capacità edificatoria derivante dalla disciplina della zona agricola sia stata previamente utilizzata oppure sia utilizzata contestualmente agli interventi ammessi con il presente articolo.
Lettera a)
La norma prescrive che nelle zone agricole siano consentiti esclusivamente interventi per la prima casa di abitazione e relative pertinenze. Per la definizione di prima casa di abitazione si rinvia a quanto precedentemente esposto in merito alla lettera g) dell’articolo 2. Relativamente alle pertinenze dell’abitazione, si sottolinea che tali manufatti devono necessariamente avere una chiara funzione di supporto e servizio dell’edificio residenziale principale di cui sono parte integrante.
Non potranno pertanto essere oggetto degli interventi di cui agli articoli 6 e 7 gli edifici ed i manufatti pertinenziali aventi destinazioni e utilizzi diversi dalla prima casa di abitazione quali, ad esempio, stalle, fienili, deposito attrezzi agricoli, annessi rustici, agriturismi, le abitazioni non destinate a prima casa di abitazione (c.d. seconde case).
Si evidenzia che anche nel caso di “prima casa di abitazione e relative pertinenze” gli interventi di ampliamento o di riqualificazione, disciplinati rispettivamente dall’articolo 6 e dall’articolo 7, potranno essere applicati solo agli edifici esistenti con tale caratteristica alla data di entrata in vigore della legge “Veneto 2050”.
Lettera b)
La norma chiarisce le modalità per realizzare gli interventi previsti agli articoli 6 e 7 in zona agricola che possono essere eseguiti, in coerenza con la riduzione del consumo di suolo, esclusivamente in aderenza o sopraelevazione della prima casa di abitazione e relative pertinenze.
Per le zone agricole, diversamente da quanto enunciato al comma 2 dell’articolo 6, non risulta esplicitamente prevista la possibilità di utilizzare un corpo edilizio esistente all’interno dello stesso lotto. Relativamente ad eventuali corpi edilizi pertinenziali separati da quello dell’abitazione principale, l’ampliamento previsto all’articolo 6 potrà essere realizzato, in tutto o in parte, in aderenza o sopraelevazione alla pertinenza medesima.
Non è ammissibile realizzare ex novo un corpo pertinenziale staccato da quello principale, venendo altrimenti eluse le prescrizioni della norma in esame sulle modalità attuative degli interventi di ampliamento.
Poiché gli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio, mediante l’integrale demolizione e ricostruzione degli edifici previsti dall’articolo 7, sono esplicitamente consentiti dall’articolo in esame, si ritiene di precisare che le modalità indicate alla lettera b) fanno riferimento ai soli specifici ampliamenti premiali consentiti dall’articolo 7, che quindi saranno realizzati in aderenza o sopraelevazione del fabbricato ricostruito.
In coerenza con le finalità di contenimento del consumo di suolo perseguito anche da “Veneto 2050” attraverso la riqualificazione e la densificazione del tessuto edilizio esistente, dovranno preferirsi soluzioni che evitino ulteriore consumo di suolo, la parcellizzazione e la frammentazione edilizia. Pertanto, gli interventi di demolizione e ricostruzione della prima casa d’abitazione e relative pertinenze dovranno tendere ad aggregare i vari corpi edilizi esistenti, non potendo, comunque, esservi un incremento del numero dei fabbricati ricostruiti rispetto a quelli oggetto di demolizione.
Preme infine sottolineare che la localizzazione dell’edifico ricostruito deve mantenere un rapporto con la localizzazione originaria; in altri termini, la ricostruzione, pur senza vincoli di sedime come previsto al comma 2 dell’articolo 10, deve avvenire nel lotto di pertinenza dell’edificio esistente oggetto di demolizione. Nel caso delle zone agricole, dove non sempre è chiaramente individuabile un lotto di pertinenza, si potrà eventualmente fare riferimento al mappale o mappali catastali sui quali insiste l’edificio esistente ovvero riferirsi alla situazione di fatto (recinzioni, corti pavimentate, ecc. ).
Lettera c)
In zona agricola, a differenza delle altre ZTO, per gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 è ammessa la sola deroga ai parametri di superficie e di volume. Risulta pertanto non ammessa la deroga all’altezza del fabbricato che rimarrà quindi quella fissata dalla strumentazione urbanistica comunale.
Comma 2
La norma chiarisce che gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 in zona agricola sono consentiti anche a chi non sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ed in assenza del Piano aziendale, previsti invece in via ordinaria per l’edificazione in zona agricola dall’articolo 44 della legge regionale n. 11/2004.
Art. 9 Interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica.
1. Per gli edifici ricadenti nelle aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico di cui al decreto legge 11 giugno 1998, n. 180 “Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania”, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, è consentita l’integrale demolizione e la successiva ricostruzione in zona territoriale omogenea propria non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica, individuata a tale scopo dal consiglio comunale, con incrementi fino al 100 per cento del volume o della superficie, anche in deroga ai parametri dello strumento urbanistico comunale.
2. Limitatamente agli edifici a destinazione residenziale, la ricostruzione di cui al comma 1 è consentita anche in zona agricola, purché caratterizzata dalla presenza di un edificato già consolidato e sempre che l’area non sia oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici o territoriali che ne impediscano l’edificazione.
3. La demolizione dell’edificio deve avvenire entro tre mesi dall’agibilità degli edifici ricostruiti e deve comportare la rinaturalizzazione del suolo; in caso di mancata rinaturalizzazione trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
4. Per l’esecuzione degli interventi di demolizione e rinaturalizzazione è prestata, a favore del comune, idonea garanzia.
5. Agli edifici ricostruiti ai sensi del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 6 e 7.
6. Le disposizioni di cui agli articoli 6 e 7 si applicano agli edifici ricadenti nelle aree dichiarate di moderata e di media pericolosità idraulica o idrogeologica (P1 e P2).
Comma 1
L’articolo ripropone analoghi contenuti già disciplinati dalla legge regionale n. 14/2009 allo scopo di incentivare la messa in sicurezza di edifici esistenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico, attraverso la loro integrale demolizione e ricostruzione, con premialità che può giungere sino al 100 per cento della superficie o del volume iniziali da realizzarsi anche in deroga ai parametri fissati dallo strumento urbanistico comunale. Il nuovo edificio dovrà essere realizzato in altra zona territoriale omogenea propria del territorio comunale non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica.
Il grado di pericolosità idraulica o idrogeologica dell’area ove ricade l’edificio oggetto dell’intervento deve risultare necessariamente dalle indicazioni contenute nel Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico (PAI) di cui al decreto legge 11 giugno 1998, n. 180. Analogamente la verifica sul grado di pericolosità dovrà essere eseguita anche per l’area in cui l’edificio verrà ricostruito, la c.d. area di atterraggio, da parte del Consiglio Comunale.
Comma 2
I benefici ottenibili dall’applicazione del presente articolo 9 sono applicabili a tutte le categorie di edifici, sia aventi destinazione residenziale piuttosto che produttiva o legata all’attività agricola. Esclusivamente per gli edifici aventi destinazione residenziale la norma consente che la loro ricostruzione possa avvenire anche in zona agricola.
Tale disposizione è evidentemente connessa alla finalità di agevolare la demolizione di edifici con la potenziale presenza di persone residenti in contesti territoriali caratterizzati da condizioni di fragilità e/o pericolosità che potrebbero mettere a serio rischio l’incolumità degli occupanti.
Per tali particolari fattispecie, la ricostruzione può quindi avvenire anche in zona agricola. L’area di atterraggio, in questo caso, deve però già essere caratterizzata dalla presenza di edifici e delle relative opere di urbanizzazione; tale previsione normativa si ricollega a quelle che sono le finalità e gli obiettivi stabiliti dalla legge regionale n. 14/2017 in materia di contenimento del consumo di suolo.
Infine, la norma chiarisce che l’area di atterraggio deve essere esente da vincoli o norme specifiche di tutela da parte degli strumenti urbanistici o territoriali che ne possano impedire l’edificazione.
Comma 3
Il comma 3 dispone che la demolizione degli edifici debba avvenire entro un termine ben preciso, ossia entro tre mesi dall’ agibilità degli edifici ricostruiti. È il caso di osservare che la demolizione deve altresì contemplare la rinaturalizzazione del suolo sul quale insisteva l’edificio demolito, in caso contrario, la mancata rinaturalizzazione comporterà l’applicazione della disciplina sanzionatoria prevista dall’articolo 31 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.
Comma 4
La previsione di legge è volta a garantire, tramite polizza fidejussoria assicurativa o bancaria, che la demolizione del fabbricato esistente e la successiva rinaturalizzazione dell’area, vengano realmente attuate. In caso contrario il Comune potrà quindi intervenire escutendo la garanzia precedentemente fornita dal proprietario dell’immobile da demolire.
Tale previsione appare quanto mai opportuna a tutela dell’interesse pubblico, costituito dalla demolizione di edifici realizzati in aree a pericolosità idraulica o Idrogeologica elevata e molto elevata e nella successiva rinaturalizzazione dei luoghi.
Commi 5 e 6
La norma sottolinea che i benefici previsti dall’articolo 9 in commento, sono unici e utilizzabili esclusivamente per gli edifici ricadenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata o elevata (P4 e P3). Pertanto tutti i benefici previsti dai precedenti articoli 6 e 7 non possono essere applicati agli edifici ricadenti in tali particolari aree. Di converso, tutti i benefici e le modalità applicative di cui agli articoli 6 e 7 trovano, invece, applicazione delle aree di moderata e media pericolosità idraulica o idrogeologica classificate dai Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico P1 e P2.
Art. 10 Titolo abilitativo e incentivi.
1. Gli interventi di cui al presente titolo, realizzabili anche mediante presentazione di unica istanza, sono subordinati alla presentazione della segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) di cui all’articolo 23, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, fatta salva la possibilità per l’interessato di richiedere il permesso di costruire e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11.
2. Gli interventi di cui al comma 1, qualora comportino una ricomposizione planivolumetrica che determini una modifica sostanziale con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa, sono assentiti mediante permesso di costruire.
3. Ferma restando l’applicazione dell’articolo 17, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, per gli interventi di ampliamento di cui all’articolo 6, il contributo relativo al costo di costruzione è ridotto di un ulteriore 20 per cento nel caso in cui l’edificio, o l’unità immobiliare, sia destinato a prima casa di abitazione del proprietario o dell’avente titolo. I consigli comunali possono stabilire un’ulteriore riduzione del contributo relativo al costo di costruzione.
4. Per usufruire delle agevolazioni di cui al comma 3, il proprietario, o l’avente titolo, ha l’obbligo di stabilire la residenza e mantenerla per un periodo non inferiore a cinque anni successivi all’agibilità dell’edificio. Qualora si contravvenga a tale obbligo il comune, a titolo di penale, richiede il versamento dell’intero contributo altrimenti dovuto, maggiorato del 200 per cento.
5. La realizzazione degli interventi di cui al comma 1 funzionali alla fruibilità di edifici adibiti ad abitazione di soggetti riconosciuti invalidi dalla competente commissione, ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, dà diritto alla riduzione delle somme dovute a titolo di costo di costruzione in relazione all’intervento, in misura del 100 per cento, sulla base dei criteri definiti dalla Giunta regionale ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16.
Comma 1
La norma in commento, consente di poter beneficiare delle premialità previste dagli interventi, di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9, anche tramite la presentazione di un’unica istanza edilizia.
Il titolo edilizio previsto per gli interventi di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9 è la SCIA alternativa al permesso di costruire, di cui all’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, anche se viene sempre fatta salva la possibilità, per l’interessato, di chiedere all’amministrazione comunale il rilascio del permesso di costruire. Le disposizioni in esame afferenti al titolo edilizio trovano applicazione anche per gli interventi in zona agricola.
Gli interventi edilizi di ampliamento di cui all’articolo 6, di riqualificazione del tessuto edilizio di cui all’articolo 7, nonché quelli ricadenti nelle zone agricole di cui all’articolo 8 ed in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica di cui all’articolo 9, sono realizzabili nel rispetto delle modalità e nei limiti previsti dall’articolo 11.
Comma 2
Il comma assoggetta a permesso di costruire tutti gli interventi, di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9 della legge, qualora gli stessi prevedano una ricomposizione planivolumetrica che implichi una modifica sostanziale rispetto all’edificio esistente, con la ricostruzione di un nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa. Per quanto riguarda le zone agricole, si rinvia a quanto precisato al precedente articolo 8.
Il permesso di costruire richiesto dal presente comma dovrà necessariamente prevedere l’adeguamento delle opere di urbanizzazione. Preme evidenziare che la localizzazione dell’edificio ricostruito deve mantenere un rapporto con la sua localizzazione originaria; in altri termini, la ricostruzione, pur senza vincolo di sedime, deve avvenire all’interno del lotto di pertinenza dell’edificio esistente, ubicato in ZTO propria. Come già evidenziato per le zone agricole, laddove non sia individuabile un lotto di pertinenza, potrà essere eventualmente fatto riferimento al mappale o ai mappali catastali sui quali insiste l’edificio esistente ovvero riferirsi alla situazione di fatto (recinzioni, corti pavimentate, ecc….).
Tale tipologia di intervento dovrà quindi da un lato intervenire sulla qualità architettonica del nuovo edificio, migliorandone allo stesso tempo anche la prestazione energetica, tecnologica e di sicurezza, dall’altro dovrà necessariamente mantenere uno stretto rapporto tipologico/architettonico nonché con il contesto urbanistico/paesaggistico dell’edificio soggetto a demolizione.
Comma 3
Il Comma in esame consente, esclusivamente per gli interventi di ampliamento di cui all’articolo 6 relativi a edifici destinati a prima casa di abitazione, di fruire di una riduzione pari al 20 per cento del costo di costruzione. A tale riduzione, possono essere sommate, se spettanti, ulteriori riduzioni o esonero dal versamento del contributo di costruzione così come previsto dall’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.
I Comuni, relativamente ad interventi di ampliamento realizzati per la prima casa di abitazione, possono deliberare altri benefici economici, stabilendo ulteriori riduzioni della quota del costo di costruzione da versare. Si evidenzia che il ‘costo di costruzione’ costituisce solo una delle tre componenti del ‘contributo di costruzione’ di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.
Comma 4
La norma in esame precisa che, al fine di poter fruire delle agevolazioni previste dal comma 3, ovverossia della possibilità di una riduzione del 20 per cento del costo di costruzione in caso di interventi di ampliamento destinati a prima casa di abitazione, il proprietario o l’avente titolo deve obbligatoriamente stabilire la propria residenza, presso l’edificio oggetto di ampliamento, mantenendola per almeno cinque anni dalla data di agibilità a seguito dell’intervento realizzato. In caso di mancato rispetto di tale obbligo, il Comune richiede, quale penale, il versamento dell’intero contributo di costruzione che si sarebbe dovuto corrispondere in ragione del tipo di intervento eseguito maggiorato del 200 per cento.
Si evidenzia che le disposizioni in esame trovano applicazione anche per gli interventi in zona agricola.
Comma 5
La norma in commento, consente l’esonero totale dal versamento del costo di costruzione del 100 per cento qualora gli interventi di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9 di “Veneto 2050”, vengano realizzati per migliorare la fruibilità di edifici destinati ad abitazione per la quale, i proprietari, siano riconosciuti invalidi dalla competente commissione di cui all’articolo 4 della Legge n. 104/1992, sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta regionale ai sensi dell’articolo 10, comma 2, della legge regionale n. 16/2007.
Art. 11 Disposizioni generali e di deroga.
1. Fermo restando quanto previsto agli articoli 8 e 9, gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 possono derogare ai parametri edilizi di superficie, volume e altezza previsti dai regolamenti e strumenti urbanistici comunali nonché, in attuazione dell’articolo 2 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ai parametri edilizi di altezza, densità e distanze di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, purché, in tali ultimi casi, nell’ambito di strumenti urbanistici di tipo attuativo con previsioni planivolumetriche che consentano una valutazione unitaria e complessiva degli interventi.
2. Qualora gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 comportino la realizzazione di un edificio con volumetria superiore ai 2.000 metri cubi o con un altezza superiore al 50 per cento rispetto all’edificio oggetto di intervento, e non ricorra l’ipotesi di deroga al decreto ministeriale n. 1444 del 1968 di cui al comma 1, gli stessi sono sempre autorizzati previo rilascio del permesso di costruire convenzionato di cui all’articolo 28 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, con previsioni planivolumetriche.
3. Gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono consentiti a condizione che la capacità edificatoria, riconosciuta dallo strumento urbanistico comunale o dalle normative per l’edificazione in zona agricola, sia stata previamente utilizzata; tale capacità edificatoria può essere utilizzata anche contestualmente agli interventi di cui agli articoli 6 e 7, che non sono cumulabili tra loro e sono consentiti una solo volta, anche se possono essere realizzati in più fasi, fino al raggiungimento degli ampliamenti o degli incrementi volumetrici e di superficie complessivamente previsti.
4. Gli ampliamenti e gli incrementi di volume o di superficie di cui articoli 6, 7 e 9 sono determinati sulla base dei parametri edificatori stabiliti dallo strumento urbanistico. Nei limiti degli ampliamenti e degli incrementi volumetrici consentiti non vanno calcolati i volumi scomputabili ai sensi della normativa vigente.
5. Gli strumenti urbanistici comunali possono individuare gli ambiti di urbanizzazione consolidata nei quali gli interventi di riqualificazione di cui all’articolo 7 consentono la cessione al comune di aree per dotazioni territoriali in quantità inferiore a quella minima prevista dagli articoli 3, 4 e 5 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, qualora sia dimostrato che i fabbisogni di attrezzature e spazi collettivi nei predetti ambiti, anche a seguito del nuovo intervento, sono soddisfatti a fronte della presenza di idonee dotazioni territoriali in aree contermini oppure in aree agevolmente accessibili con appositi percorsi ciclo pedonali protetti e con il sistema di trasporto pubblico. In tale caso il mantenimento delle dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici stabiliti dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968, è assicurato dalla monetizzazione, in tutto o in parte, della quota di dette aree.
Comma 1
La disposizione disciplina le possibilità di deroga relative agli interventi di ampliamento di cui all’articolo 6 e di riqualificazione del tessuto edilizio di cui al successivo articolo 7 distinguendo le due fattispecie. I suddetti interventi, infatti, possono innanzitutto derogare ai parametri edilizi di superficie e volume previsti dai regolamenti e strumenti urbanistici comunali; I medesimi interventi possono inoltre, a talune condizioni, derogare ai parametri edilizi di altezza, densità e distanze di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968.
Il presupposto affinché tale ultima deroga – posta in essere in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 – sia possibile è individuato dal legislatore nella circostanza che ciò avvenga “nell’ambito di strumenti urbanistici di tipo attuativo con previsioni planivolumetriche che consentano una valutazione unitaria e complessiva degli interventi”; ciò in quanto, per consolidata giurisprudenza costituzionale, la deroga ai parametri del decreto ministeriale n. 1444/1968 è legittima a condizione che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati e sia fondata su previsioni che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario.
Comma 2
La disposizione prevede, di regola, per interventi particolarmente “rilevanti” (cioè che comportino la realizzazione di un edificio con volumetria superiore ai 2000 metri cubi o con altezza superiore al 50 per cento rispetto all’edificio oggetto dell’intervento) e qualora non ricorra l’ipotesi di deroga al decreto ministeriale n. 1444/1968 di cui al precedente comma, il ricorso all’istituto del permesso di costruire convenzionato di cui all’articolo 28 bis del D.P.R. n. 380/2001 con previsioni planivolumetriche.
In sostanza si prevede la contestuale duplice condizione della rilevanza dell’intervento (volumetria superiore ai 2000 metri cubi o con altezza superiore al 50 per cento rispetto all’edificio originario) e della circostanza che non ricorra l’ipotesi di deroga al decreto ministeriale n. 1444/1968 (ipotesi disciplinata invece all’ultimo periodo del comma 1 mediante ricorso a strumenti
urbanistici di tipo attuativo con previsioni planivolumetriche).
Com’è noto, l’istituto del permesso di costruire convenzionato – introdotto nel decreto del Presidente della repubblica n. 380/2001 dall’ articolo 17, comma 1, lettera q), del decreto legge n. 133/2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164/2014 – prevede la stipula di una convenzione, approvata con deliberazione del Consiglio comunale, volta a specificare gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio.
Il permesso di costruire convenzionato, pertanto, ben si presta ad essere utilizzato nelle ipotesi di deroga ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici comunali (come per l’appunto quella prevista dalla norma in esame), potendo servire a definire meglio le condizioni alle quali la deroga medesima viene assentita e consentendo, al contempo, all’amministrazione comunale di valutare appieno la consistenza dell’intervento e l’impatto rispetto alla pianificazione.
Considerata la peculiarità e l’oggettiva complessità delle valutazioni demandate al Consiglio comunale nella fattispecie procedimentale di cui si discute, valutazioni che assumono un carattere pianificatorio nella misura in cui possono determinare deroghe più o meno estese alla vigente strumentazione urbanistica, il legislatore regionale ha inoltre introdotto l’obbligo di planivolumetrico al fine di assicurare una migliore valutazione dell’intervento, al di fuori della pianificazione attuativa, nel contesto urbanistico di riferimento.
Comma 3
Il comma stabilisce che gli interventi di ampliamento e di riqualificazione del tessuto edilizio ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 6 e dell’articolo 7, sono consentiti “a condizione che la capacità edificatoria riconosciuta dallo strumento urbanistico comunale o dalle normative per l’edificazione in zona agricola, sia stata previamente utilizzata”.
Va osservato che laddove il legislatore parla di normativa per l’edificazione in zona agricola, il riferimento è chiaramente alle disposizioni contenute nel Titolo V della legge regionale n. 11/2004 e, in particolare, nell’articolo 44.
La norma da ultimo citata oltre a indicare, al comma quattro, la volumetria realizzabile e gli interventi consentiti all’imprenditore agricolo, al successivo comma 5, disciplina gli interventi “sempre consentiti”, cioè, come chiarito con l’interpretazione autentica fornita con l’articolo 5 della legge regionale n. 30/2010, gli interventi “ammissibili anche in assenza dei requisiti soggettivi e del piano aziendale di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo 44” e, come tali, consentiti a tutti coloro che possiedono una casa di abitazione in zona agricola, a prescindere dall’essere o meno imprenditore agricolo.
Conseguentemente, solo qualora sia stata previamente utilizzata la capacità edificatoria riconosciuta dallo strumento urbanistico ovvero dalle norme in materia di edificazione in zona agricola sopra citate, gli interventi di cui trattasi sono consentiti.
Va infine evidenziato che il legislatore, in un’ottica di semplificazione ed economicità del procedimento, precisa che la suddetta capacità edificatoria può essere utilizzata anche contestualmente agli interventi in questione i quali, peraltro, possono essere realizzati in più fasi fino al raggiungimento degli incrementi volumetrici o di superficie previsti.
Comma 4
Si prevede che gli incrementi in termini di volume o superficie vadano riferiti ai parametri indicati dallo strumento urbanistico e che all’interno di detti incrementi (siano essi ampliamenti, interventi di riqualificazione o interventi su aree dichiarate di pericolosità idraulica e idrogeologica) non siano considerati i volumi che la normativa vigente consente di non computare.
Comma 5
Con questo comma si dispone che i Comuni possano individuare ambiti di urbanizzazione consolidata nei quali gli interventi di cui all’articolo 7 consentono la cessione di aree per dotazioni territoriali in quantità inferiore a quella minima prevista dagli articoli 3, 4 e 5 del decreto ministeriale n. 1444/1968 “qualora sia dimostrato che i fabbisogni di attrezzature e spazi collettivi nei predetti ambiti, anche a seguito del nuovo intervento, sono soddisfatti a fronte della presenza di idonee dotazioni territoriali in aree contermini oppure in aree agevolmente accessibili con appositi percorsi ciclo pedonali protetti e con il sistema di trasporto pubblico”. In tale caso, precisa la norma in commento, il mantenimento delle dotazioni stabilite dal citato decreto ministeriale n. 1444/1968 è assicurata dalla monetizzazione, in tutto o in parte, della quota di dette aree.
A questo proposito, si evidenzia che la quantificazione degli standard urbanistici e la possibilità che gli stessi vengano soddisfatti con modalità alternative a quelle previste dal decreto ministeriale n. 1444/1968 è integralmente rimessa al piano regolatore generale e, pertanto, è lecito presumere che il legislatore abbia voluto, da un lato, rammentare e, dall’altro, meglio precisare tale facoltà.
La norma regionale, che riguarda i soli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio, condiziona la cessione di aree per dotazioni territoriali in quantità inferiore a quella minima prevista dagli articoli 3, 4 e 5 del decreto ministeriale n. 1444/1968 alla dimostrazione dell’esistenza di adeguate dotazioni in aree finitime o comunque di facile accessibilità mediante trasporto pubblico e/o percorsi ciclo pedonali. Sussistendo tale condizione, il mantenimento delle dotazioni stabilite dal citato decreto ministeriale n. 1444/1968 è garantito mediante la monetizzazione, totale o parziale, della quota di dette aree.
Spetta al Comune individuare all’interno gli ambiti di urbanizzazione consolidata – come definiti nell’articolo 2 lettera h) che richiama, a sua volta, l’articolo 2, comma 1, lettera e) della legge regionale n. 14/2017 – nei quali gli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio consentano la cessione di aree per dotazioni territoriali in quantità inferiore a quella minima e, quindi, la relativa monetizzazione.
Non pare superfluo rammentare infine che la legge – articolo 3, comma 2 – subordina gli interventi sia dell’articolo 6 che, per quanto qui interessa, dell’articolo 7 all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggiore carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie degli edifici esistenti.
TITOLO VI Norme transitorie e finali
Art. 17 Disposizioni transitorie e finali.
1. Gli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano stati presentati, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, entro il 31 marzo 2019, continuano ad essere disciplinati dalla medesima legge regionale.
2. I comuni dotati di un PAT, già approvato alla data di entrata in vigore della presente legge, si adeguano alle disposizioni dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, come modificato dall’articolo 16, e mantengono la propria disciplina fino all’approvazione di una nuova variante al piano degli interventi.
3. Le premialità volumetriche o di superficie previste dalla presente legge sono alternative e non cumulabili con quelle previste da altre leggi regionali.
4. È fatta salva la legislazione statale vigente in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
5. Per le abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14.
6. L’allegato A alla presente legge può essere modificato con deliberazione di Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare.
7. I termini previsti dall’articolo 48 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per l’adeguamento dei comuni alla legge sul contenimento del consumo di suolo e allo schema di Regolamento edilizio tipo (RET), sono rideterminati al 30 settembre 2020.
8. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, detta disposizioni di indirizzo e applicative per l’attuazione della presente legge.
Comma 1
Si tratta di una norma transitoria che mira a salvaguardare le istanze già presentate alla data del 31 marzo 2019 tramite SCIA o Permesso di Costruire, per le quali continua a trovare applicazione la disciplina di riferimento di cui alla legge regionale n. 14/2009 e successive modifiche ed integrazioni. A tale proposito è utile precisare che rimangono validi, per tali
interventi edilizi, i contenuti della circolare regionale n. 1/2014.
Comma 2
Contiene un parziale cambio di regole per quanto riguarda la disciplina dei PAT e dei PI: infatti la norma richiede ai comuni dotati di PAT già approvato alla data di entrata in vigore di questa legge regionale “Veneto 2050”, di adeguarsi alle disposizioni dell’articolo 36 della legge regionale n. 11 del 2004, riferito alla riqualificazione ambientale e al credito edilizio, senza tuttavia prevedere un termine ultimo per tale adeguamento. Pare utile ricordare che l’articolo 36, già modificato dalla legge regionale n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana, è stato oggetto di ulteriori modifiche da parte dell’articolo 16 di “Veneto 2050” che ha rivisto alcuni contenuti del PAT e del PI affidando al primo la disciplina dei criteri per identificare le opere incongrue, gli elementi di degrado e gli interventi di miglioramento e riqualificazione del territori, in linea con le previsioni regolative di carattere generale e strategico attribuite ai PAT con la legge regionale n. 11/2004, mentre al secondo, più operativo, spetterà la concreta individuazione di tali opere ed elementi. In via transitoria, tuttavia, la norma consente ai PAT già approvati di mantenere la propria regolamentazione fino all’approvazione di una nuova variante al PI.
Comma 3
Il comma chiarisce che tutti i benefici ottenibili in termini di volume o di superficie, derivanti dall’applicazione della legge regionale n. 14/2019, sono da considerarsi quale alternativa, non cumulabile, con eventuali altri benefici provenienti dall’applicazione di altre leggi regionali. Pertanto, chi intende utilizzare le premialità previste dalla presente legge non potrà avvalersi di tipologie di intervento previste da disposizioni normative regionali che attribuiscono analoghe premialità dovendo in tal caso effettuare, a monte, una scelta ben precisa sul beneficio che si vuole usufruire.
Comma 4
La norma regionale, come per altre leggi regionali, ricorda che viene fatta salva la legislazione statale di cui al decreto legislativo n. 42/2004 in materia di beni culturali e paesaggistici e conseguentemente non potranno essere assentiti interventi privi dei necessari titoli previsti da tale decreto legislativo o comunque non rispettosi di tale disciplina.
Comma 5
Il comma 5 dispone che i benefici di cubatura relativi ad interventi per favorire l’installazione di impianti solari e fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari, previsti dall’articolo 5 della legge regionale n. 14/2009, unico articolo della legge regionale del 2009 rimasto vigente assieme all’articolo 10, possano essere ancora riconosciuti limitatamente alle abitazioni esistenti alla data del 6 aprile 2019, data di entrata in vigore di “Veneto 2050”. Per tali categorie di interventi edilizi debbono peraltro ritenersi validi i contenuti di cui alle deliberazioni della Giunta regionale n. 2508/2009 e n. 1781/2011.
Comma 6
Si tratta di una norma di carattere semplificatorio che intende agevolare le eventuali necessarie modifiche che si rendessero necessarie con riferimento all’Allegato A della legge, di carattere prettamente tecnico; infatti, attraverso il rinvio ad un provvedimento di Giunta regionale, previo parere della competente Commissione consiliare, sarà possibile adeguare gli aspetti tecnici afferenti a tale Allegato A alla legge senza necessariamente dover provvedere con una apposita modifica normativa.
Comma 7
La norma coordina a livello temporale, fissando nell’unica scadenza del 30 settembre 2020, due importanti adempimenti ai quali i Comuni sono tenuti ad ottemperare sulla base di due precise disposizioni legislative regionali: la prima riguarda il recepimento del RET (Regolamento Edilizio Tipo) di cui all’articolo 48 ter della legge regionale n. 11/2004, la seconda l’adeguamento alla legge regionale n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo.
Comma 8
Si tratta della norma di chiusura che attribuisce alla Giunta regionale di dettare le modalità attuative di “Veneto 2050” quale supporto operativo per chiarire alcuni aspetti della legge regionale che richiedono di essere maggiormente approfonditi. Aspetti che si intendono chiarire, per l’appunto, con la presente circolare.
Art. 19 Abrogazioni.
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 17, sono o restano abrogati gli articoli 1, 1 bis, 2, 3, 3bis, 3 ter, 3 quater, 4, 6, 7, 8, 9, 11, 11bis e 12 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “ Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, e le seguenti relative disposizioni di novellazione e attuative:
a) articoli 7 e 8 della legge regionale 9 ottobre 2009, n. 26 “Modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”;
b) articoli 1, 2, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici “;
c) articoli 1 e 2 della legge regionale 10 agosto 2012, n. 36 “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche””;
d) articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12 e 14 della legge regionale 29 novembre 2013, n. 32 “Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”;
e) articolo 6 della legge regionale 16 marzo 2015, n. 4 “Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali”;
f) articolo 28, comma 1, della legge regionale 14 dicembre 2018, n. 43 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2019”.
L’articolo 19 è dedicato all’abrogazione di norme superate, sostituite o comunque incompatibili con le nuove disposizioni dettate dalla legge in esame. Ciò “fermo restando quanto previsto dall’articolo 17”; tale articolo, com’è noto, detta disposizioni transitorie e, in particolare, prevede un caso di ultrattività delle norme abrogate disponendo che gli interventi la cui istanza sia
presentata entro il 31 marzo 2019 continuino ad essere disciplinati dalla legge regionale n. 14/2009 (c.d. “Piano Casa”).
Risulta abrogata non solo la legge regionale n. 14/2009 di cui però, come si spiegherà nel prosieguo, restano vigenti alcune disposizioni -, ma anche quelle disposizioni di legge di novellazione o attuative per le quali non sussistono più le condizioni di adozione.
Non tutte le disposizioni della legge regionale n. 14/2009 risultano essere state abrogate a seguito dell’entrata in vigore di “Veneto 2050”; invero, nell’elencazione di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 19 non compaiono l’articolo 5 e l’articolo 10 della citata legge regionale n. 14/2009 relativi, rispettivamente, all’installazione di impianti solari, fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari e alla ristrutturazione edilizia.
Va evidenziato che le due norme rientrano tra le disposizioni “a regime”, non sottoposte cioè al limite temporale stabilito dall’articolo 9, comma 7, ed applicabili quindi a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda, in particolare, l’articolo 5 della legge regionale n. 14/2009, si ricorda che, al fine di consentirne l’applicazione, la Giunta regionale ha emanato alcuni provvedimenti contenenti definizioni tipologiche delle strutture e degli impianti ammissibili e relative caratteristiche tecniche; si tratta delle deliberazioni n. 2508 del 4 agosto 2009 “Incentivi urbanistici ed edilizi per l’installazione di impianti solari e fotovoltaici ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della L.R. 8 luglio 2009, n. 14” e n. 1781 in data 8 novembre 2011 “Caratteristiche tecniche delle serre bioclimatiche e di altre strutture murarie ai fini della completa applicazione dell’art. 5 della L.R. 13/2011”.
Appare doveroso infine rammentare che il comma 1 dell’articolo 5 della più volte richiamata legge regionale n. 14/2009 parla di “abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”, cioè edifici esistenti alla data dell’11 luglio 2009, tuttavia il comma 5 dell’articolo 17 di “Veneto 2050” ha esteso l’applicazione dell’articolo 5 a tutte le abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 14/2019 (cioè al 6 aprile 2019).
L’altra norma della legge regionale n. 14/2009 di cui l’articolo 19 non dispone l’abrogazione è, come sopra anticipato, l’articolo 10 riguardante la ristrutturazione edilizia. Tale norma, presente già nella prima versione del Piano Casa, ha subito una modifica da parte della legge regionale n. 32/2013 (c.d. “terzo Piano Casa”). È questa la ragione per cui il legislatore, nell’abrogare le disposizioni della legge regionale n. 32/2013, fa salvo l’articolo 11 della suddetta legge trattandosi, per l’appunto, di norma di novellazione del citato articolo 10.
Luca Zaia