di Roberto Travaglini
Art. 12
Disposizioni finali
1. Sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della presente legge ed anche successivamente, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a):
a) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata;
b) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste;
c) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico;
d) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante”;
e) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo;
f) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa;
g) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, le cui premialità sono da considerarsi alternative e non cumulabili con quelle previste dal presente Capo;
h) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.
2. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 1, lettera b), sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale.
2 bis. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli interventi commerciali che restano disciplinati dalla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”, e dai relativi regolamento e provvedimenti attuativi, ove rechino una disciplina più restrittiva.
Sommario: 1. Il comma 1 – 2. (segue) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata – 3. (segue) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste – 4. (segue) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico – 5. (segue) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive” – 6. (segue) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo – 7. (segue) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa – 8. (segue) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 – c.d. Piano casa – 9. (segue) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 – 10. Il comma 2 – 11. Il comma 2-bis.
1. Il comma 1
L’art. 12, come si evince dalla formulazione del relativo comma 1, assolve alla funzione di indicare gli interventi e le attività che “sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore” della l.r. 14/2017 (ovvero dal 24 giugno 2017) e restano consentiti anche dopo che il provvedimento della Giunta regionale previsto dall’art. 4, co. 2, lett. a), avrà indicato i limiti del suolo consumabile in ciascun Comune del Veneto, potendo derogare a detti limiti.
La portata della disposizione è, pertanto, quella di individuare una serie di interventi e/o attività che – sebbene costituenti consumo di suolo secondo la definizione datane dall’art. 2, lett. c) (di seguito, nel commento, si vedrà, peraltro, che non è sempre così) – il legislatore ritiene di sottrarre alla disciplina del contenimento del consumo di suolo dettata con il provvedimento legislativo in esame.
2. (segue) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata
La prima fattispecie, la cui descrizione è riportata in rubrica, si caratterizza per la duplice circostanza che si tratta di interventi (già) previsti dallo strumento urbanistico generale (PRG per i Comuni ancora privi del PAT, PI per quelli che ne sono già dotati) e che ricadono negli ambiti di urbanizzazione consolidata.
Quest’ultima espressione va interpretata ricorrendo alla relativa definizione, contenuta nell’art. 2, lett. e), secondo cui costituiscono ambiti di urbanizzazione consolidata “l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola. Tali ambiti di urbanizzazione consolidata non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”.
Nel rinviare al commento all’art. 2 riportato nel presente volume per gli opportuni approfondimenti della definizione sopra riprodotta, appare utile sottolineare in questa sede che dal combinato disposto delle ulteriori definizioni di “superficie naturale e seminaturale” (art. 2, lett. a) e “consumo di suolo” (art. 2, lett. c) si ricava che può aversi consumo di suolo anche all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata, ma esclusivamente con riferimento alle relative superfici che risultino “utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico”, oppure “costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura”.
Orbene, gli interventi aventi ad oggetto quest’ultime superfici beneficiano della disciplina “derogatoria” dettata dalla lettera a) della norma in commento, mentre la gran parte delle superfici comprese negli ambiti di urbanizzazione consolidata, non rientrando tra quelle la cui impermeabilizzazione dà luogo a consumo di suolo, sono realizzabili a prescindere dalla predetta norma.
3. (segue) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste
Gli articoli richiamati riguardano, rispettivamente, la “riqualificazione edilizia ed ambientale” (art. 5) e la “riqualificazione urbana” (art. 6), ai cui commenti, ovviamente, si rinvia.
In questa sede preme sottolineare come gli interventi di riqualificazione urbana siano localizzati “negli ambiti urbani degradati” (art. 6, co. 1), espressione che giusta la definizione riportata nell’art. 2, lett. g), indica “le aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana di cui all’articolo 6”.
Ciò comporta, analogamente a quanto rilevato per gli interventi di cui alla precedente lettera a), che anche per quelli di riqualificazione urbana l’eventualità che possano dar luogo a consumo di suolo ai sensi della l.r. n. 14/2017 è piuttosto marginale, in quanto legata al solo coinvolgimento di superfici “utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico”, oppure “costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura”.
Anche in queste remote occasioni, peraltro, la norma che qui si commenta ne sancisce l’irrilevanza, consentendo egualmente la realizzazione di tali interventi comportanti consumo di suolo.
Diversa è la situazione nel caso degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, potendo riguardare singoli edifici e/o opere incongrui, degradati, da migliorare nella relativa qualità edilizia, la cui collocazione non necessariamente coincide con ambiti di urbanizzazione consolidata.
Da ultimo, va evidenziato che la norma in rubrica, mentre sottrae alla disciplina “contenitiva” del consumo di suolo gli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, così come quelli di riqualificazione urbana, non estende analogo regime agli interventi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’art. 7 della l.r. n. 14/2017.
Tale differenziazione si giustifica solo parzialmente con la circostanza che a norma dell’art. 4, co. 2, lett. b), per la concreta applicazione dell’art. 7 la Giunta regionale è chiamata a dettare “i criteri di individuazione e gli obiettivi di recupero degli ambiti urbani di rigenerazione, nel rispetto delle specifiche finalità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), nonché gli strumenti e le procedure atti a garantire l’effettiva partecipazione degli abitanti alla progettazione e gestione dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile”.
Infatti, come in precedenza evidenziato, la disciplina speciale delineata dall’articolo che qui si commenta opera anche in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), lo stesso provvedimento che, a norma della sopra riprodotta lett. b), del medesimo art. 4, è chiamato a definire criteri di individuazione e obiettivi di recupero degli ambiti di rigenerazione urbana sostenibile.
Va, peraltro, sottolineato come anche nel caso degli interventi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’art. 7, così come già visto in relazione a quelli di riqualificazione urbana dell’art. 5, il contesto “di riferimento” sia essenzialmente costituito dalla “città costruita”, vista la definizione degli “ambiti urbani di rigenerazione” riportata nell’art. 2, co. 1, lett. h), che li identifica ne “le aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, caratterizzati da attività di notevole consistenza, dismesse o da dismettere, incompatibili con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, nonché le parti significative di quartieri urbani interessate dal sistema infrastrutturale della mobilità e dei servizi”.
4. (segue) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico
Per l’individuazione della portata delle espressioni impiegate dall’elencazione in rubrica è necessario fare innanzi tutto riferimento alle definizioni contenute nell’art. 3 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
Secondo la lett. ll) della norma da ultimo richiamata sono “appalti pubblici di lavori” i contratti aventi ad oggetto almeno l’esecuzione delle “attività di cu all’allegato I”, mentre secondo la successiva lett. nn), sono “lavori di cui all’allegato I, le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, sostituzione, restauro, manutenzione di opere”.
A sua volta, la lett. pp) definisce come “opera, il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle difesa e di presidio ambientale, di presidio agronomico e forestale, paesaggistica e di ingegneria naturalistica”.
Nell’art. 3 del Codice dei contratti pubblici non si rinviene, al contrario, la definizione di “opere di intesse pubblico”, espressione che compare esclusivamente all’art. 186 (Privilegio sui crediti), norma compresa nella Parte IV (Partenariato pubblico privato e contraente generale ed altre modalità di affidamento), Titolo I (Partenariato pubblico privato).
Tale collocazione appare, peraltro, coerente con gli assunti giurisprudenziali secondo cui “La categoria dell’ «interesse pubblico», quale connotazione di un’opera, di una attività o di una funzione, ha carattere aperto e/o indeterminato, non essendo vincolata ad alcuna espressa qualificazione legislativa né alla pertinenza soggettiva dell’iniziativa: essa si presta quindi ad abbracciare qualunque intervento che, a prescindere dalla sua appartenenza tipologica, risulti rispondere, nel concreto contesto sociale ed economico in cui deve essere realizzato, ad una finalità rilevante ed utile per la collettività (e non solo per il soggetto che se ne faccia promotore). Anche un intervento funzionale al raggiungimento di scopi di carattere lucrativo può astrattamente soddisfare esigenze di carattere pubblico e/o di pubblica utilità”.[1]
Va, altresì, ricordato che la nozione di “edifici di interesse pubblico” è contenuta nell’art. 14 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, e concorre a delineare la fattispecie del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.
Riguardo a quest’ultima disposizione, la giurisprudenza ha recentemente affermato che “Ai fini dell’adozione di un permesso di costruire in deroga ex art. 14 t.u. edilizia non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso”[2].
5. (segue) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive”
La previsione in rubrica consente sin dall’entrata in vigore della l.r. n. 14/2017 e, successivamente, anche in deroga ai limiti relativi al consumo di suolo, stabiliti per ambiti comunali o sovracomunali omogenei dalla Giunta regionale con il provvedimento di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), gli interventi di edilizia produttiva previsti dagli artt. 2, 3 e 4 della l.r. n. 55/2012.
Il Capo I della citata legge regionale detta “procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive”, espressione, quest’ultima, mutuata dall’art. 1, co. 1, lett. i), del DPR 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”, secondo cui sono attività produttive “le attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni, di cui alla lettera b), comma 3, dell’articolo 38 del decreto-legge”[3].
L’art. 2 della l.r. n. 55/2012 riguarda gli interventi di edilizia produttiva che non configurano variante allo strumento urbanistico generale[4], l’art. 3 gli interventi di edilizia produttiva realizzabili in deroga allo strumento urbanistico generale[5], l’art. 4 si riferisce agli interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale[6], mentre l’art. 4-bis riguarda le attività produttive con caratteristiche riconosciute di “eccellenza” in base a parametri da definirsi a cura della Giunta regionale, che peraltro non vi ha ancora provveduto.
Preme in questa sede evidenziare che il richiamo operato dall’art. 4 della l.r. n. 55/2012 all’art. 8 del DPR 160/2010, fa sì che la fattispecie oggetto della norma regionale vada integrata con la disposizione statale e, in particolare, con la relativa condizione di applicabilità costituita dalla circostanza che “lo strumento urbanistico non individua aree destinate all’insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti”[7].
In merito alla predetta condizione, la giurisprudenza ha sottolineato “il carattere eccezionale e derogatorio della procedura disciplinata dall’art. 5, la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare”[8].
Purtuttavia, nel caso in cui l’intervento da realizzare consista in un ampliamento dell’insediamento produttivo esistente, la citata condizione sembra doversi intendere del tutto superflua, atteso che in tal caso “l’area da destinare all’ampliamento della relativa attività non può essere rinvenuta altrove, ma deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento principale e da ampliare”[9].
Appare utile sottolineare che la formulazione della fattispecie derogatoria riguardante gli interventi oggetto di SUAP, presente nell’art. 12, co. 1, lett. d), della l.r. n. 14/2017, è diversa da quella licenziata dalla II^ Commissione consiliare il 16 febbraio 2017, che quanto agli interventi degli artt. 4 e 4-bis della l.r. n. 55/2012, li limitava ai soli “ampliamenti delle attività esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.
6. (segue) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo
La lettera in rubrica sottrae alla disciplina del contenimento del consumo di suolo innanzi tutto “gli interventi edilizi in funzione dell’attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive” (così recita l’art. 44, co. 1, della l.r. n. 11/2004), strutture, quest’ultime, definite nell’apposito Atto di indirizzo previsto dall’art. 50, co. 1, lett. d), n. 3, della l.r. n. 11/2004[10].
Si rammenta che gli interventi di cui al citato art. 44, a norma del relativo comma 2, sono consentiti, sulla base di un piano aziendale, esclusivamente all’imprenditore agricolo titolare di un’azienda agricola con requisiti minimi fissati dalla stessa disposizione di legge.
Quanto all’ulteriore, almeno in apparenza, fattispecie degli “interventi connessi all’attività agricola”, deve comunque trattarsi di interventi significativi in relazione alla disciplina del contenimento del consumo di suolo (ed in particolare della sua definizione, riportata nell’art. 2, co. 1, lett. c), della l.r. n. 14/2017), che parla di “impermeabilizzazione del suolo”, di “interventi di copertura artificiale”, di “scavo o rimozione”, tali da compromettere “le funzioni eco-sistemiche e le potenzialità produttive” del suolo.[11]
In chiusura si evidenzia che in base all’art. 2, co. 1, lett. e), rientrano nella nozione di ambito di urbanizzazione consolidata – al cui interno, salvo le eccezioni indicate all’art. 2, co. 1, lett. a), non è dato registrare superfici naturali e/o seminaturali la cui trasformazione possa dal ruolo a consumo di suolo – anche i “nuclei insediativi in zona agricola”.
7. (segue) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa
L’attività di cava è attualmente disciplinata dalla legge regionale 7 settembre 1982, n. 44, anche se giacciono in II^ Commissione consiliare due diverse proposte di legge, una di iniziativa del consigliere Maurizio Conte (PDL 28, presentato il 10 luglio 2015) ed altra di iniziativa della Giunta regionale (PDL 153, presentato il 3 giugno 2016), per superare la normativa ormai risalente a quasi 35 anni fa.
Secondo l’art. 13 della l.r. n. 44/1982 “Costituiscono aree di potenziale escavazione le parti del territorio comunale definite zona E ai sensi del dm 2 aprile 1968, n. 1444 dallo strumento urbanistico generale approvato e non escluse dall’attività di cava ai sensi della presente legge”.
Considerato che a norma dell’art. 2, co. 1, lett. a), rientrano nella nozione di “superficie naturale e seminaturale” anche le aree “destinate all’attività agricola”, che a norma della successiva lett. b), del medesimo articolo debbono considerarsi “superficie agricola” anche “i terreni qualificati come tali dagli strumenti urbanistici”, e che la lett. c) della medesima disposizione definisce “consumo di suolo” “: l’incremento della superficie naturale e seminaturale interessata da interventi di impermeabilizzazione del suolo, o da interventi di … scavo … che ne compromettano le funzioni eco-sistemiche e le potenzialità produttive” è evidente che in assenza della previsione derogatoria qui in commento nuovi interventi costituenti esercizio dell’attività di cava avrebbero dovuto risentire del blocco temporaneo di cui all’art. 13, co. 1, della l.r. n. 14/2017 ed essere successivamente subordinati al rispetto dei limiti definiti dal provvedimento emesso dalla Giunta regionale in attuazione dell’art. 4, co. 2, lett. a), e dalle conseguenti varianti di adeguamento dello strumento urbanistico comunale.
8. (segue) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 – c.d. Piano casa
Con la previsione in rubrica vengono affrancati dalle misure di contenimento del consumo di suolo, sia nel periodo transitorio, sia, successivamente, a regime, gli interventi previsti e consentiti dalla l.r. n. 14/2009 e successive modifiche “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, meglio nota come “Piano casa”.
Si tratta degli interventi di ampliamento (art. 2 della l.r. n. 14/2009), di demolizione e ricostruzione con ampliamento (art. 3), anche in zona agricola (art. 3-bis), di rimozione e smaltimento dell’amianto (art. 3-ter), di demolizione e ricostruzione, in zona territoriale omogenea propria e non dichiarata pericolosa dal punto di vista idraulico, di edifici ricadenti in aree ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica (art. 3-quater), aventi ad oggetto attrezzature all’aperto, a servizio degli insediamenti turistici e ricettivi (art. 4) di installazione di impianti solari e fotovoltaici (art. 5).
Va sottolineato che la norma in esame precisa che le “premialità” che accedono alla disciplina del c.d. “Piano casa” sono da considerarsi alternative e non cumulabili con quelle previste dalle disposizioni del Capo I della l.r. n. 14/2017 (bonus volumetrici o superficiari previsti nei casi di riqualificazione edilizia ed ambientale ex art. 5 e di riqualificazione urbana ex art. 6).
Com’è noto, l’art. 19 della l.r. 4 aprile 2019, n. 14 “Veneto 2050: Politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio”, ha disposto, a far data dal 6 aprile 2019 (giorno successivo alla pubblicazione sul BUR n. 32/2019), l’abrogazione di buona parte delle norme della l.r. n. 14/2009 (fanno eccezione gli artt. 5 e 10).
A sua volta, l’art. 17, comma 1, della stessa l.r. 14/2019, stabilisce che “Gli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano stati presentati, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, entro il 31 marzo 2019[12], continuano ad essere disciplinati dalla medesima legge regionale”.
Si pone, pertanto, il problema se l’affrancamento dalla disciplina del contenimento del consumo di suolo degli interventi previsti dalla legge regionale sul “Piano casa” – affrancamento disposto dalla norma che qui si commenta – possa trovare applicazione, una volta abrogata la l.r. n. 14/2009, nei confronti degli interventi disciplinati dagli artt. 6 (interventi edilizi di ampliamento), 7 (interventi di riqualificazione del tessuto esistente), 8 (interventi in zona agricola) e 9 (interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica) della l.r. n. 14/2019, che sostituiscono e mettono “a regime” quelli di carattere “straordinario” introdotti nel 2009.
La risposta appare necessariamente negativa, atteso il puntuale riferimento che la norma in commento fa alla l.r. 14/2009, che ne escludere il carattere “dinamico” o “mobile”.
D’altra parte, la questione riveste una portata piuttosto modesta, atteso che gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 possono essere realizzati nei soli “ambiti di urbanizzazione consolidata” individuati dai comuni ai sensi della l.r. n. 14/2017 (ed al cui interno non si dà luogo a consumo di suolo) e nella zona agricola, ma in quest’ultimo caso, a norma dell’art. 8, limitatamente alla prima casa di abitazione (e relative pertinenze) ed esclusivamente in aderenza o sopra elevazione.
Ne consegue che potranno determinare consumo di suolo (e, conseguentemente, doverne rispettare i limiti fissati dai comuni nei relativi strumenti urbanistici adeguati alla DGR 668/2018) solo gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. 14/2019 riguardanti edifici in zona agricola, esterni ai “nuclei insediativi” ivi presenti – che a norma dell’art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017, fanno parte degli ambiti di urbanizzazione consolidata – nella sola ipotesi di incremento volumetrico in aderenza.
Quanto agli interventi di demolizione di edifici ubicati in aree di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) e ricostruiti altrove[13], egualmente potranno determinare consumo di suolo e, conseguentemente, doverne rispettare i limiti fissati dai comuni in attuazione della DGR 668/2018, qualora la ricostruzione abbia luogo all’esterno degli ambiti di urbanizzazione consolidata di cui all’art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017.
9. (segue) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11
A tal proposito si ricorda che il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e disciplinato, quanto ai contenuti, dall’art. 24 e quanto al procedimento di formazione, efficacia e varianti, dall’art. 25 della l.r. n. 11/2004.
A loro volta i Piani d’area costituivano, a norma dell’art. 3 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61, strumento di specificazione del PTRC, e quelli vigenti alla data di entrata in vigore della l.r. n. 11/2004, sono considerati parte integrante del PTRC a norma dell’art. 48, co. 2, di quest’ultima legge regionale.
Infine, dei piani strategici si occupa l’art. 26 della l.r. n. 11/2004, in base al quale “Il piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) può prevedere che le opere, gli interventi o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio siano definiti mediante appositi progetti strategici”.
10. Il comma 2
Il comma 2 della disposizione in commento stabilisce che per la realizzazione degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale (art. 5) e di riqualificazione urbana (art. 6) “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.
Tale precisazione appare di difficile interpretazione e, comunque, collocata in un contesto non coerente.
Cominciando da quest’ultimo rilievo, appare evidente che con la norma testé riprodotta non si è inteso delineare un regime derogatorio alla disciplina del contenimento del consumo di suolo per gli interventi di cui agli artt. 5 e 6, poiché tale regime è già sancito dal comma 1, lett. b).
Ciò detto, risulta privo di ogni sistematicità l’inserimento di un connotato disciplinare proprio degli interventi sopra richiamati in sede diversa dagli articoli che ne disciplinano il contenuto.
Ma la difficoltà interpretativa nasce soprattutto dal confronto con tali disposizioni, poiché:
- secondo l’art. 5, co. 2, “Fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT), il piano degli interventi (PI) … definisce le misure e gli interventi finalizzati al ripristino, al recupero e alla riqualificazione nelle aree occupate dalle opere di cui al comma 1 e prevede misure di agevolazione che possono comprendere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione”;
- secondo l’art. 6, co. 2, “Fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT), il piano degli interventi (PI) individua il perimetro degli ambiti urbani degradati da assoggettare ad interventi di riqualificazione urbana e li disciplina in una apposita scheda, precisando: i fattori di degrado, gli obiettivi generali e quelli specifici della riqualificazione, i limiti di flessibilità rispetto ai parametri urbanistico-edilizi della zona, le eventuali destinazioni d’uso incompatibili e le eventuali ulteriori misure di tutela e compensative, anche al fine di garantire l’invarianza idraulica e valutando, ove necessario, il potenziamento idraulico nella trasformazione del territorio.”, mentre il successivo comma 3 stabilisce che “Il PI può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione”.
Appare curioso che dopo aver configurato, negli articoli ad esse dedicati ed al cui commento si rinvia, sia la riqualificazione edilizia ed ambientale, sia la riqualificazione urbana, come rispettose del PRC (PAT e PI) riguardo ai contenuti menzionati nelle sopra riprodotte sedi disciplinari, venga poi stabilito, nella norma recante disposizioni finali, che per la realizzazione dei tali interventi “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.
Inoltre, come già evidenziato nel commento del comma 1, lett. b), anche nel comma 2 ora in esame si omette qualsiasi richiamo alla rigenerazione urbana sostenibile, di cui all’art. 7, per la realizzazione dei cui interventi, pertanto, non “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.
Fermi restando i rilievi di carattere sistematico sopra formulati, il personale convincimento di chi scrive è che la disposizione riportata al comma 2 sia del tutto superflua e, per la non esaustività delle fattispecie in essa espressamente richiamate, perfino fuorviante.
Infatti, il rapporto di necessaria coerenza tra la pianificazione urbanistica generale e gli strumenti (titolo edilizio diretto, PUA) a disposizione per l’attuazione degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, nonché di riqualificazione urbana, fa sì che il quadro di riferimento “a monte” possa essere adeguato, ricorrendo ad opportune varianti, ogni qual volta esse appaiano utili e funzionali alla più efficace realizzazione degli obiettivi di pubblico interesse sottesi a tali interventi.
Si tratta, peraltro, della normale dialettica che contraddistingue il rapporto tra la pianificazione generale e la concreta attuazione delle relative previsioni.
Ma se questo è l’ovvio contenuto del comma 2, a maggior ragione non può che riguardare anche, se non soprattutto, gli stessi interventi di rigenerazione urbana sostenibile, di cui all’art. 7 della l.r. n. 14/2017, attesa la scala territorialmente più ampia e la maggiore complessità funzionale che li contraddistingue rispetto agli interventi dei precedenti artt. 5 e 6 della stessa legge in commento.
Anche in relazione agli interventi di rigenerazione urbana sostenibile, in sostanza, sembra inevitabile doversi riconoscere la possibilità di variare preventivamente la strumentazione urbanistica “a monte”, così da potervi incardinare, in un quadro di coerenza, i singoli episodi di rigenerazione.
Il tutto senza dimenticare che – – come meglio evidenziato nel commento all’art. 7 -l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile avviene mediante accordo di programma ex art. 32 della l.r. n. 35/2001, strumento cui è associata, ove ne ricorra la necessità, “la variazione integrativa agli strumenti urbanistici senza necessità di ulteriori adempimenti”.
11. Il comma 2-bis
L’art. 57, comma 1, della legge regionale 29 dicembre 2017, n. 45 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018”, ha aggiunto il comma 2-bis alla norma che qui si commento, stabilendo che “Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli interventi commerciali che restano disciplinati dalla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”, e dai relativi regolamento e provvedimenti attuativi, ove rechino una disciplina più restrittiva”.
Nel primo esame dell’originaria formulazione dall’articolo qui in commento si era sottolineato come l’assenza di un’esplicita menzione degli interventi disciplinati dalla l. r. n. 50/2012 e dai relativi provvedimenti attuativi (in primis il Regolamento regionale 21 giugno 2013, n. 1) tra quelli che l’art. 11 consente anche in deroga ai limiti al consumo di suolo dovesse essere interpretata nel senso che tali interventi sono ammessi soltanto se non comportano consumo di suolo nell’accezione datane dall’art. 2, lett. c) e se sono compatibili con le previsioni degli strumenti urbanistici adeguati al provvedimento della Giunta regionale di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), della l.r. n. 14/2017 (cfr.: DGR n. 668/2018).
Ad avviso di chi scrive il nuovo comma 2-bis conferma tale interpretazione, ancorché la relativa collocazione nell’art. 11 appaia quanto meno “originale”.
Infatti, se la finalità dell’art. 11 è l’individuazione di una serie di interventi e/o attività che – sebbene costituenti consumo di suolo – il legislatore ritiene di sottrarre alla disciplina del relativo contenimento, non può che risultare pleonastica la precisazione secondo cui tale disciplina si applica anche agli interventi commerciali di cui alla l.r. n. 50/2012 e relativi provvedimenti di attuazione, proprio perché detti interventi non sono menzionati tra quelli che l’art. 11 consente “in deroga” ai limiti del consumo di suolo.
Inoltre, stante la descritta portata dell’art. 11, è altrettanto ovvio che la normativa sugli insediamenti commerciali possa (anzi, per il principio di specialità, debba) continuare a trovare applicazione laddove rechi una disciplina sul consumo di suolo “più restrittiva” di quella scaturente dalla l.r. n. 14/2017 e dalla relativa attuazione disposta con la DGR 668/2018 e tradotta nelle conseguenti varianti di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.
Sul punto, anche la Direzione Industria Artigianato Commercio e Servizi della Regione Veneto, con nota prot. n. 7369/70.00.04, datata 9 gennaio 2018, si è limitata a constatare che la portata del nuovo art. 11, comma 2-bis, della l.r. 14/2017 è quella di chiarire che le normative sul consumo di suolo e sulla attività commerciali “trovano entrambe applicazione e che nei casi di incompatibilità trova applicazione la normativa maggiormente restrittiva, in quanto preordinata al più efficace perseguimento delle finalità del contenimento del consumo di suolo”.
Rinviando agli autorevoli commenti della l.r. n. 50/2012 e del regolamento n. 1/2013[14], ci si limita qui a ricordare che l’art. 21 della legge fissa il principio della necessaria coerenza tra la localizzazione delle medie e delle grandi strutture di vendita e le previsioni dello strumento urbanistico comunale adeguato al regolamento, privilegiando in ogni caso il loro insediamento nei centri storici.
A sua volta, l’art. 2 del regolamento stabilisce che il Piano degli Interventi favorisce la localizzazione delle medie e delle grandi strutture di vendita all’interno del centro urbano[15], anche attraverso interventi di riqualificazione urbanistica di aree o strutture dismesse e degradate, le cui caratteristiche (degrado edilizio, degrado urbanistico e degrado socio-economico) corrispondono a quelle indicate nei punti 1), 2) e 3) dell’art. 2, comma 1, lett. g; della l.r. n. 14/2017, recante la definizione di “ambiti urbani degradati”, identificati nelle “aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana”[16]
Da quanto sopra discende che l’aspetto di maggiore criticità nel rapporto tra la disciplina del contenimento del consumo di suolo (l.r. n. 14/2017) e quella delle attività commerciali (l.r. n. 50/2012 e regolamento n. 1/2013) è rappresentato dal rapporto esistente tra l’accordo di programma per interventi regionali, normato dall’art. 11 della l.r. n. 14/2017, e l’accordo di programma cui l’art. 26 della l.r. n. 50/2012 subordina gli interventi riguardanti le grandi strutture di vendita indicate nel comma 1 di tale disposizione, qualora localizzati al di fuori dei centri storici.
Nel rinviare all’aggiornamento del commento alla prima delle citate norme per una più compiuta analisi di tale rapporto, ci si limita a sottolineare la non coincidenza, nonostante l’identica denominazione, tra l’accordo di programma cui fa riferimento l’art. 11 della legge sul consumo di suolo e l’accordo di programma previsto dall’art. 26 della l.r. n. 50/2012 per l’autorizzazione, anche in variante urbanistica, delle grandi strutture di vendita a rilevanza regionale.
Il primo è quello disciplinato dall’art. 32 della l.r. n. 35/2001, dalle disposizioni applicative contenute nella DGR n. 2493, del 14 dicembre 2010, nonché dall’art. 6 della l.r. n. 11/2004; il secondo è quello disciplinato dall’art. 34 del d.P.R. n. 267/2000, cui fa rinvio anche l’art. 7 della l.r. n. 11/2004.
Di qui la personale convinzione che, nonostante l’identica denominazione, i due istituti non debbano essere tra lo confusi ed identificati, con conseguente autonomia delle relative discipline sostanziali e procedurali.
Il che comporta, sempre a giudizio di chi scrive, che l’art. 11 della l.r. n. 14/2017 non possa essere invocato tout court per l’approvazione in deroga ai limiti di consumo di suolo di interventi concernenti grandi strutture di vendita – ancorché quelle sole dell’art. 26, comma 1, della l.r. n. 50/2012, localizzate al di fuori dei centri storici – ma esclusivamente riguardo agli “interventi che, pur in presenza di iniziative commerciali, abbiano una marcata valenza strategica di livello regionale”[17].
Infine, non va trascurato che l’art. 11, della l.r. n. 14/2017, nel consentire agli accordi di programma ivi richiamati di derogare ai limiti di consumo di suolo, subordina tale possibilità alle seguenti condizioni:
- a) impossibilità di localizzare gli interventi che ne costituiscono l’oggetto all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata,
- b) riconoscimento, ad opera della Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare, della sussistenza dell’interesse regionale alla trasformazione urbanistico-edilizia prevista dall’accordo, il tutto, sulla base dei criteri che la stessa Giunta regionale è chiamata a stabilire ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. f), della l.r. n. 14/2017.
Nell’assenza, che a tutt’oggi perdura, del provvedimento giuntale da ultimo richiamato, la deroga prevista dall’art. 11 della l.r. n. 14/2017 non può in alcun modo operare.
[1] TAR Campania, Salerno, 31 gennaio 2017, n. 183.
Secondo il Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 marzo 2017, n. 1017, “La realizzazione di un complesso produttivo da parte di un privato non può qualificarsi come “opera pubblica o di interesse pubblico”, essendo tali categorie giuridiche riservate ad iniziative teleologicamente tese alla soddisfazione diretta ed immediata di interessi pubblici (quali scuole, ospedali, caserme, strade), laddove il predetto complesso è ontologicamente funzionale allo scopo lucrativo della società istante ed ha solo indirette e mediate ricadute positive per la collettività (incremento delle prospettive occupazionali, cui peraltro possono far fronte speculari esternalità negative, quali l’aumento dei livelli di inquinamento e del traffico veicolare, specie pesante)”.
[2] Cons. Stato, Sez. IV, 5 giugno 2015, n. 2761. La fattispecie riguarda il recupero di un importantissimo manufatto veneziano, il c.d. “Fontego dei Tedeschi”. In relazione alla qualifica di edificio di interesse pubblico di cui all’art. 14 del DPR 380/2001 si è discusso se vi rientrassero unicamente edifici ed impianti realizzati dalla stessa Amministrazione o anche opere eseguite da parte di privati, purché comunque soddisfacessero il requisito dell’interesse generale. Ad un iniziale orientamento restrittivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 1988 n. 2) è seguita una tendenziale “apertura” estesasi fino a ricomprendere tra gli edifici di interesse pubblico tutte le strutture atte a soddisfare — per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale — bisogni di rilevanza collettiva, anche se realizzate da privati (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013 n. 6163).
A sua volta, il Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4518, confermando la pronuncia del TAR Veneto, Sez. II, 7 febbraio 2002, n. 766, ha precisato che “Ai fini del rilascio di un permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 DPR. 380/2001, per “edificio di interesse pubblico” deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica. In tale categoria può rientrare, pertanto, anche la realizzazione di una struttura alberghiera ed il suo ampliamento”.
[3] Si tratta del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in attuazione del cui art. 38 è stato approvato il DPR 160/2010.
[4] Sono soggetti al procedimento unico di cui all’art. 7 del DPR 160/2010 e si identificano:
negli ampliamenti di attività produttive che si rendono indispensabili per adeguare le attività ad obblighi derivanti da normative regionali, statali o comunitarie, fino ad un massimo del 50 per cento della superficie esistente e comunque non oltre 100 mq. di superficie coperta;
nelle modifiche ai dati stereometrici di progetti già approvati ai sensi della normativa in materia di sportello unico per le attività produttive, ferme restando le quantità volumetriche e/o di superficie coperta approvate.
[5] Sono soggetti al procedimento unico di cui all’art. 7 del DPR 160/2010 e consistono negli interventi che comportano ampliamenti di attività produttive in difformità dallo strumento urbanistico purché entro il limite massimo dell’80 per cento del volume e/o della superficie netta/lorda esistente e, comunque, in misura non superiore a 1.500 mq.. Nel caso in cui l’ampliamento sia realizzato mediante il mutamento di destinazione d’uso di fabbricati esistenti, gli stessi devono essere situati all’interno del medesimo lotto sul quale insiste l’attività da ampliare o, comunque, costituire con questa un unico aggregato produttivo.
[6] La norma riguarda gli interventi non rientranti nelle casistiche di cui ai precedenti artt. 2 e 3, e che vengono assoggettati al procedimento di cui all’art. 8 del DPR 160/2010. Se ne ricava che sono soggetti all’art. 4, in particolare, gli interventi che danno vita ad un nuovo insediamento, nonché quelli aventi ad oggetto ampliamenti eccedenti le dimensioni consentite dall’art. 3.
[7] Così anche la Circolare regionale 1, del 20 gennaio 2015, approvata in pari data con DGR 20/2015.
[8] Così Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 27; analogamente Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2011, n. 4308.
[9] Così TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 marzo 2011, n. 773, TAR Lombardia, Milano, Sez.II, 28 dicembre 2009, n. 6222; analogamente TAR Puglia, Lecce, 26 febbraio 2014, n. 660, secondo cui “l’insufficienza delle aree sussiste anche nel caso di ampliamento di un impianto produttivo quando le aree contigue risultino avere una diversa destinazione urbanistica” dovendosi verificare la stessa insufficienza con riferimento alla esigenza di funzionamento e di sviluppo di quel determinato impianto”; TAR Veneto, Sez. II, 11 luglio 2008, n. 1993; contra TAR Veneto, Sez. II, 31 ottobre 2007, n. 3494.
[10] Atto di indirizzo approvato con DGR 8 ottobre 2004, n. 3178, modificato con le DGR 25 novembre 2008, n. 3650, 16 febbraio 2010, n. 329 e 15 maggio 2012, n. 856
Vi si legge, in particolare, che “A solo titolo esemplificativo, rientrano nel novero delle strutture agricolo-produttive, come individuate dalla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, le seguenti tipologie strutturali:
strutture e manufatti per l’allevamento di animali o per la coltivazione, la protezione o la forzatura delle colture;
strutture per il ricovero di macchine ed attrezzature agricole, officine di manutenzione e magazzini utensili per lo svolgimento dell’attività agricola aziendale;
manufatti ed impianti per il deposito e/o la conservazione delle materie prime (mangimi, lettimi, foraggi, imballaggi, fertilizzanti, prodotti veterinari e fitosanitari, ecc.);
manufatti ed impianti per la sosta, la prima lavorazione, la trasformazione, la conservazione o la valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;
strutture ed impianti per l’esposizione, la promozione, la degustazione e la vendita dei prodotti aziendali;
strutture ed impianti aziendali per attività di ricezione con finalità ricreative, culturali e didattiche, comunque in rapporto di connessione e complementarietà rispetto alle attività aziendali;
locali da adibire ad uffici, mense, spogliatoi, servizi da utilizzarsi esclusivamente da parte di dipendenti dell’impresa agricola;
opere ed impianti aziendali destinati all’approvvigionamento idrico ed energetico, alla regimazione delle acque, alla bonifica e alla viabilità;
opere ed impianti destinati allo stoccaggio e/o trattamento delle deiezioni zootecniche e dei residui delle attività di trasformazione aziendali.”
[11]Si ricorda, altresì, che l’art. 2135, secondo comma, del codice civile, offre la definizione di attività connesse a quelle agricole, dovendo così intendersi le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e ospitalità”.
[12] Termine così ridefinito dall’art. 28 della l.r. n. 43/2018.
[13] In ZTO propria o in zona agricola, in quest’ultima ipotesi solo nel caso di edifici residenziali ed in presenza di un edificato già consolidato e qualora non ostino specifiche norme di tutela degli strumenti urbanistici o territoriali.
[14] Cfr. “Il commercio nel Veneto – commentario alla legge regionale del Veneto 28 dicembre 2012, n. 50”, a cura di Bruno Barel e Giorgia Vidotti.
[15] Che a norma dell’art. 3, comma 1, lett. m) della l.r. n. 50/2012 è la “porzione di centro abitato, individuato ai sensi dell’articolo 3, comma 1, punto 8), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 “Nuovo codice della strada”, caratterizzata dal tessuto urbano consolidato, con esclusione delle zone produttive periferiche e delle zone prive di opere di urbanizzazione o di edificazione”.
[16] Laddove l’iniziativa commerciale non si traduca in un intervento di recupero e riqualificazione urbanistica di aree o strutture dismesse e degradate, l’art. 2, comma 11, lett. b.2), del regolamento n. 1/2013 richiede che l’iniziativa consolidi polarità commerciali esistenti, cioè ricada in aree in cui sono presenti altre attività commerciali di medie o grandi strutture di vendita, purché la relativa variante urbanistica non comporti il consumo di suolo agricolo.
[17] Così, letteralmente, B. Barel, Commento all’art. 26, in ““Il commercio nel Veneto – commentario alla legge regionale del Veneto 28 dicembre 2012, n. 50”, cit., pag. 165.